16 Marzo 2011 Bari. Giuseppe Mizzi, 38 anni, operaio, ucciso perché scambiato per un altro.

Foto dal gruppo Facebook: Giuseppe Mizzi vittima innocente della violenza criminale

Bari. Giuseppe Mizzi venne bruscamente assassinato a due passi da casa sua, il 16 marzo del 2011, mentre rientrava dopo aver acquistato un pacchetto di sigarette. Giuseppe nasce a bari il 23-12-1972, in un quartiere popolare di bari, all’età di 15 anni acquisisce la licenza media e inizia a lavorare con il suo papà nei cantieri svolgendo lavori edili. All’età di 17 anni si trasferisce a Loseto insieme alla sua famiglia. Giuseppe era un ragazzo molto socievole, amava parlare con la gente, amava la musica ed era molto credente. All’età di circa 19 anni partì per il servizio militare e al suo ritorno per mancanza di lavoro cercò di aprire una piccola attività di imprese di pulizie ma col passare dei mesi decise di abbandonare tutto, ma riuscì con la sua tenacia, grinta e soprattutto onestà a svolgere altri piccoli lavoretti che non gli facevano mancare niente. Conobbe all’età di 22 anni Katia che divenne successivamente sua moglie, e madre di due splendidi bambini. Quando divenne padre dei suoi bambini Giuseppe cercava di fare di tutto per non far mancare niente alla sua famiglia, lavorava dalle 3 del mattino fino alle 8 di sera in un’impresa di pulizia, e contemporaneamente svolgeva altri lavori, la sua vita era segnata da tanti sacrifici, ma con il suo carisma cercava sempre di andare avanti e di non abbattersi mai. Durante il suo poco tempo libero lo dedicava ai suoi bambini, educandoli in modo rispettoso, umile e trasmettendogli i veri valori della vita; amava cantare, accudire le persone anziane e non riusciva mai a provare cattiveria verso gli altri.
La nostra famiglia dopo questa vicenda è completamente distrutta dal dolore, tutta quell’armonia che una volta c’era adesso è svanita. A distanza di tempo dalla sua scomparsa, noi famigliari non riusciamo ancora a capire come una persona onesta come lui, possa perdere la vita ingiustamente, ma soprattutto non si riesca a fare giustizia e verità per un cittadino esemplare. Adesso lo scopo principale della sua famiglia e combattere affinché tutti sappiano chi era Giuseppe, ma soprattutto chiedono un supporto alle famiglie colpite dalla nostra stessa vicenda, ma anche a voi tutti affinché possiamo insieme sconfiggere questa criminalità organizzata. (La famiglia Mizzi)

 

 

Articolo del 13 Settembre 2011 da quotidianodibari.it
Omicidio Giuseppe Mizzi, “I giornalisti hanno infangato la memoria di nostro figlio”
di Mirko Misco
Esclusiva: parla la famiglia dell’uomo ucciso in un agguato di mafia a Carbonara. Descritto come uno spacciatore, era in realtà estraneo agli ambienti mafiosi. Intanto la stampa tace e le istituzioni restano immobili. La madre: «Denunceremo i responsabili»

Giuseppe Mizzi, detto Pino, assassinato il 16 marzo scorso in un agguato di mafia nel rione di Carbonara, è stato ucciso due volte. Per la prima una pistola e la mano di un sicario, pochi secondi sono stati sufficienti. La seconda ha richiesto alcuni mesi, l’impegno di professionisti dalla penna veloce e qualche riga di giornale. Invece del sangue, è stato sparso inchiostro nello spasmodico rituale che è diventato oramai la stesura di un articolo di cronaca.  È stato facile distruggere la memoria di un uomo incensurato, che non aveva contatti con la criminalità organizzata e che, padre di due bimbi, onestamente costruiva loro un futuro. «Mio figlio si alzava alle tre del mattino per andare al lavoro – mamma Lucia è tutta rabbia e determinazione – denuncerò chi ha diffamato il suo nome… era un uomo onesto, non uno spacciatore come avete scritto voi giornalisti!».

Già, “noi giornalisti”, abbiamo commesso un grave errore. Perché un uomo ucciso dalla mafia, se non è un eroe, deve essere per forza “uno di loro”, “uno di quelli”. Perché, si sa, “loro” non sbagliano mai.    È così che Pino è diventato per la società lo spacciatore, il criminale di turno. Tanto, cosa importa, i cadaveri dei morti ammazzati in una faida tra clan sono tutti uguali: muti e colpevoli. E che si uccidano tra di loro! Basta che lascino in pace la gente per bene.  Ora – la notizia dovrebbe essere ufficializzata a breve – dai risultati delle ultime indagini sembra venir fuori che Pino, quel pomeriggio di marzo, è stato ucciso al posto di un altro. Non c’entrava niente con la mafia, non era uno spacciatore: si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. «Era uscito a comprare le sigarette – raccontano i famigliari – rientrava a casa quando è stato sparato alle spalle». Anche su quest’ultimo particolare noi giornalisti abbiamo commesso un errore, un altro.  Molti articoli di giornale e servizi televisivi, infatti, avrebbero fornito informazioni sbagliate in merito alla dinamica del delitto. «Non è vero che nostro figlio è stato colpito in volto, tanto meno tra gli occhi – mamma Lucia e papà Andrea sono chiari – Pino è stato colpito alla nuca e alle spalle, il suo volto era intatto al momento della sepoltura». La vena “da scrittore” di molti giornalisti a volte lascia ai margini la verità.  Tante inesattezze, tanto fango gettato sul nome del proprio caro, hanno segnato a fondo il destino di una famiglia come tante, proletaria, che da un giorno all’altro si è trovata schiacciata nel vortice di un ciclone mediatico che la vedeva “mafiosa”, quando era già difficile affrontare il dolore per la perdita di una persona amata.

«In questi lunghi mesi ci siamo sentiti in dovere di raccontare, a chi ancora aveva dei dubbi sulla sua onestà, chi fosse veramente nostro fratello – confessano Antonio ed Angelo – abbiamo sopportato il fardello dell’indignazione, di fronte a persone che avevano di Pino l’immagine distorta che la carta stampata e la televisione hanno contribuito a costruire».  Ma proprio ora che le indagini sembrano prossime ad accertare ufficialmente l’estraneità di Pino ai fatti di mafia che hanno dato inizio al “marzo di fuoco” – una faida tra i clan baresi dalle dinamiche ancora poco chiare – la stampa tace. «Una riga di giornale in sette mesi di silenzio e infamia… una riga per ricordare che “probabilmente” Pino è stato ucciso per errore, che non aveva nulla a che fare con i circoli della malavita». Troppo poco per una famiglia che continua a soffrire. «Ho già dato ordine al nostro avvocato di iniziare le cause contro i giornali e le televisioni che hanno distrutto la memoria di mio figlio – mamma Lucia è fredda nel suo dolore – ho raccolto tutti gli articoli che hanno descritto mio figlio come un criminale… pagheranno tutti!».  Intanto, sul fronte delle istituzioni, le parole non hanno ancora lasciato il posto ai fatti. «Il sindaco Emiliano ci ha promesso sostegno, ma fino ad oggi ben poco è stato fatto».

La vedova Mizzi, disoccupata, è rimasta sola a crescere due ragazzini di cinque e quattordici anni e Pino aveva sulle spalle un mutuo con altri sei anni di rate da pagare. «La famiglia che mio figlio ha dolorosamente abbandonato ha bisogno di un sostegno che sia anche materiale – chiosa papà Andrea – fino ad oggi tutta la famiglia ha stretto la cinghia per aiutarli, ma fino a quando potremo andare avanti!».  Oltre al sindaco anche Don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, ha voluto offrire sostegno alla famiglia Mizzi. «Don Ciotti è venuto a farci visita per portare il suo messaggio di solidarietà a tutta la nostra famiglia: noi siamo vittime della mafia».

 

Dalla Pagina Facebook:

CHI ERA GIUSEPPE MIZZI
Mancavano due giorni dal suo onomastico quando il 16-03-2011,Giuseppe Mizzi venne bruscamente assassinato a due passi da casa sua mentre rientrava dopo aver acquistato un pacchetto di sigarette. Giuseppe nasce a bari il 23-12-1972,in un quartiere popolare di bari, all’età di 15 anni acquisisce la licenza media e inizia a lavorare con il suo papà nei cantieri svolgendo lavori edili. All’età di 17 anni si trasferisce a Loseto insieme alla sua famiglia. Giuseppe era un ragazzo molto socievole, amava parlare con la gente, amava la musica ed era molto credente.

All’età di circa 19 anni partì per il servizio militare e al suo ritorno per mancanza di lavoro cercò di aprire una piccola attività di imprese di pulizie ma col passare dei mesi decise di abbandonare tutto, ma riuscì con la sua tenacia, grinta e soprattutto onestà a svolgere altri piccoli lavoretti che non li facevano mancare niente. Conobbe all’età di 22 anni Katia che divenne successivamente sua moglie, e madre di due splendidi bambini. Quando divenne padre dei suoi bambini Giuseppe cercava di fare di tutto per non far mancare niente alla sua famiglia,lavorava dalle 3 del mattino fino alle 8 di sera in un impresa di pulizia, e contemporaneamente svolgeva altri lavori,la sua vita era segnata da tanti sacrifici,ma con il suo carisma cercava sempre di andare avanti e di non abbattersi mai. Durante il suo poco tempo libero lo dedicava ai suoi bambini, educandoli in modo rispettoso,umile e trasmettendoli i veri valori della vita, amava cantare,accudire le persone anziane e non riusciva mai a provare cattiveria verso gli altri.

La tragica sera del 16 Marzo 2011 Giuseppe mentre percorreva la strada di casa venne scambiato per un’altra persona e barbaramente colpito alle spalle da due balordi. La nostra famiglia dopo questa vicenda è completamente distrutta dal dolore,tutta quell’armonia che una volta c’era adesso è svanita. A distanza da poco tempo dalla sua scomparsa,noi familiari non riusciamo ancora a capire come una persona onesta come lui,possa perdere la vita ingiustamente,ma soprattutto non si riesca a fare giustizia e verità per un cittadino esemplare. Adesso lo scopo principale della sua famiglia e combattere affinché tutti sappiano chi era Giuseppe, ma soprattutto chiedono un supporto dalle famiglie colpite dalla nostra stessa vicenda, ma anche a voi tutti affinché possiamo insieme sconfiggere questa criminalità organizzata.

 

 

Articolo dell’11 Novembre 2011 da omicidi.net
Delitto Mizzi fu una tragica fatalità

Secondo i carabinieri e la Procura di Bari si trattò unicamente di un tragico evento sfortunato: è l’esito a cui sono arrivati gli inquirenti dopo le indagini circa l’omicidio di Giuseppe Mizzi, un uomo di trentanove anni incensurato che è stato assassinato nella scorsa primavera a Carbonara.
In realtà, non era Mizzi nel mirino degli assassini e la sua “colpa” è stata unicamente quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

In base a quanto riportato dagli inquirenti, pare che si sia trattato di un vero e proprio scambio di persona: un agguato mafioso che, in realtà, era organizzato nei confronto di qualcun altro.

La famiglia di Mizzi ha sempre tenuto in grande considerazione questa tesi che, adesso, trova anche conferme da parte degli inquirenti che si occupano di portare avanti l’indagine.

E proprio la coincidenza tra la tesi sostenuta dalla famiglia e dai parenti di Mizzi e il risultato delle ultime indagini, ha portato il pm Francesco Romana Pirrelli ad accettare la richiesta della famiglia Mizzi di avere un incontro.

La volontà della famiglia è quella di evitare che il buon nome di un onesto lavoratore come Giuseppe Mizzi venga infangato con un mondo mafioso di cui lui non era assolutamente partecipe.

L’omicidio di Mizzi avvenne la scorsa primavera, nel mese di marzo, quando i due killer lo sorpresero alle spalle con un colpo di proiettile che non gli lasciò scampo.

Una traiettoria maledetta, quella del proiettile che, secondo quanto risultato dalle indagini degli inquirenti, non stata organizzata per Giuseppe Mizzi: una tragica fatalità, invece, ne ha compromesso l’esistenza.

 

 

 

Articolo del 24 Febbraio 2012 da  baritoday.it
Omicidio Mizzi a Carbonara, arrestati i presunti killer  

Chiuse le indagini sull’uccisione del 39enne Giuseppe Mizzi avvenuta nel marzo del 2011 nei pressi della piazza principale del quartiere. Secondo gli inquirenti si trattò di uno scambio di persona

Sono stati eseguiti all’alba dai carabinieri gli arresti dei presunti responsabili dell’omicidio di Giuseppe Mizzi, il 39enne di Carbonara ucciso il 16 marzo del 2011. Mizzi fu freddato a colpi di pistola mentre rincasava nella sua abitazione in via Venezia, a pochi passi dalla piazza principale del quartiere.

I parenti hanno sempre sostenuto che Giuseppe fosse stato ucciso per sbaglio e che non avesse mai avuto contatti con la malavita locale. Una posizione poi confermata dalle indagini della Procura. Pochi giorni dopo l’omicidio la Procura iscrisse nel registro degli indagati quattro persone, tra cui il pregiudicato Antonio Battista, di 41 anni, ferito il giorno prima dell’agguato a Mizzi ad una mano sempre a Carbonara e in carcere con l’accusa di favoreggiamento personale, e il suo presunto braccio destro Emanuele Fiorentino.

 

 

Articolo del 18 Febbraio 2013 da baritoday.it
Omicidio Giuseppe Mizzi a Carbonara: rito abbreviato per i due presunti killer
Omicidio Mizzi: rito abbreviato per i presunti killer, il Comune parte civile
Oggi la ripresa del processo per l’omicidio del 39enne, ucciso due anni fa a Carbonara per un tragico scambio di persona. Il processo con rito abbreviato comincerà il 5 marzo

Comincerà il prossimo 5 marzo il processo con rito abbreviato per i due presunti killer di Giuseppe Mizzi, il 39enne ucciso a Carbonara la sera del 16 marzo 2011. Nel processo si sono costituiti parti civili i familiari della vittima, madre, padre, tre fratelli e moglie, e il Comune di Bari.

Giuseppe rimase vittima di un agguato mafioso per un tragico scambio di persona. I killer lo freddarono con 6 colpi di pistola mentre rincasava, scambiandolo per un malvivente che avrebbero dovuto uccidere per vendicare il ferimento del pregiudicato Antonio Battista, cognato del boss Di Cosola, avvenuto il giorno precedente sempre a Carbonara.

LE INDAGINI E GLI ARRESTI – Per l’uccisione di Giuseppe sono imputati il 34enne Emanuele Fiorentino e il 33enne Edoardo Bove, che oggi hanno chiesto il rito alternativo nell’udienza preliminare davanti al gup del Tribunale di Bari Antonio Diella. I due furono arrestati dai carabinieri a febbraio dell’anno scorso. A incastrare i due presunti assassini, la cella telefonica a cui si è agganciato il telefonino di Bove la sera dell’omicidio, lo stub a cui fu sottoposto Fiorentino poche ore dopo l’agguato e le immagini delle telecamere dell’impianto di videosorveglianza sistemate all’esterno dell’abitazione di Fiorentino, che lo immortalano insieme a Bove. Fiorentino e Bove sono anche accusati del tentativo di omicidio di una passante, rimasta ferita di striscio a una gamba durante l’agguato.

IL RICORDO DI LIBERA BARI – Il prossimo 13 marzo l’associazione Libera Bari ha organizzato una manifestazione a Carbonara per ricordare Giuseppe. Sul luogo dell’agguato in via Venezia, a pochi passi dalla piazza principale del quartiere, verrà affissa una targa commemorativa.

 

 

Articolo del 24 Ottobre 2013 da  bari.repubblica.it
Omicidio Mizzi, i due killer condannati a 13 e 20 anni
di Gabriella De Matteis
La sentenza per l’uccisione del 38enne di Carbonara vittima di uno scambio di persona. In tribunale tutti i familiari: “Finché vivrò cercherò giustizia”, le parole della madre

l gup del tribunale di Bari Antonio Diella ha condannato Edoardo Bove ed Emanuele Fiorentino rispettivamente a 13 e 4 mesi e 20 anni di reclusione per l’omicidio di Giuseppe Mizzi, il 38enne di Carbonare ucciso per errore il 16 marzo 2011 in un agguato mafioso.
In tribunale ad attendere la sentenza tutti i familiari della vittima, gli stessi che aveva chiesto a gran voce giustizia per l’assassinio. “Finché vivrò vorrò giustizia – queste le parole della madre dell’uomo, vittima di uno scambio di persona. Per l’omicidio l’accusa aveva chiesto per entrambi gli imputati l’ergastolo.

La vittima fu sorpresa dai sicari mentre rincasava nel quartiere Carbonara alla periferia di Bari. Fiorentino e Bove, a processo con rito abbreviato, sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio volontario premeditato. Il giudice non ha riconosciuto l’aggravante di avere favorito un’associazione mafiosa.

“Mio marito non è riuscito a guardare i suoi killer negli occhi – ha detto la moglie di Mizzi, Katia Patrono – ma oggi li ho voluti guardare io”. Per la prima volta Katia, di 39 anni, mamma di due figli di 16 e 7 anni, ha partecipato al processo per l’omicidio di suo marito. A dare sostegno alla famiglia, all’esterno dell’aula, Pinuccio Fazio, papà del 15enne Michele ucciso per errore nella città vecchia di Bari il 12 luglio del 2001, ealcuni rappresentanti di Libera Bari con il referente regionale Alessandro Cobianchi.

Alle parti civili, il Comune, la moglie, i due figli, i genitori e i tre fratelli di Giuseppe Mizzi, il giudice ha riconosciuto il risarcimento danni da quantificarsi in un sede civile.

 

 

 

Articolo del 25 gennaio 2014 da  lagazzettadelmezzogiorno.it
La sentenza: «Mizzi ucciso per sbaglio non fu vittima di mafia»
di Giovanni Longo

BARI – Anche il giudice che ha condannato i suoi presunti assassini e che lo ha conosciuto solo attraverso le prove raccolte dalla Procura, le testimonianze e gli atti giudiziari, descrive Giuseppe Mizzi come «una persona normale, semplice, un lavoratore apprezzato, legato alla moglie e alla famiglia». L’uomo ucciso a 39 anni per errore il 16 marzo 2011 mentre rincasava a Carbonara «viene persino descritto come una persona che non cercava la lite e che era anche “molto pauroso” di ogni cosa e che “se avesse assistito ad una lite o a qualcosa di brutto lui sicuramente si sarebbe allontanato”».
È quanto si legge, tra l’altro, nelle motivazioni appena depositate della sentenza di condanna emessa lo scorso ottobre nei confronti del 34enne Emanuele Fiorentino (20 anni di reclusione come esecutore materiale) e del 33enne Emanuele Bove (13 anni e 4 mesi).

Tante ragioni per potere affermare che è «altamente verosimile e credibile» che Mizzi «sia morto per “colpe” non sue e quindi per un “tragico scambio di persona”». Eppure non ci sono prove sufficienti per stabilire con certezza che la sua morte «sia stata voluta per agevolare le attività del sodalizio mafioso (ove si voglia ritenere che la contestata finalità di imporre la “supremazia” del gruppo mafioso rientri nella “agevolazione” della attività dello stesso)». Ragioni che hanno una conseguenza pratica: i famigliari di Pino Mizzi, parte civile nel processo, rappresentati dall’avvocato Egidio Sarno non potranno accedere al Fondo unico vittime della mafia per chiedere un risarcimento.

«Manca un pezzo – dice Angelo Mizzi – fratello della vittima -. Pino è una vittima di mafia, le modalità con cui è stato ucciso parlano chiaro. Lotteremo affinché sia riconosciuto per onorare la sua memoria ». L’obiettivo (sbagliato) dei presunti killer doveva essere punito per una vendetta personale o uno sgarro interno, ipotizza il giudice. Eppure se le finalità sono dubbie, almeno il «metodo », quello sì è mafioso, come hanno ricostruito i Carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Bari che hanno condotto le indagini, coordinate dal pm Federico Perrone Capano.

«L’omicidio – scrive tra l’altro il gup Antonio Diella – è infatti stato commesso in pieno centro cittadino, in una piazza in cui erano presenti molte persone anche nelle immediate vicinanze del luogo dove avvenne la sparatoria (…) in orario serale ma affatto notturno (…), senza alcuna preoccupazione per l’incolumità di coloro che si trovano nei pressi e sulla traiettoria dei colpi di pistola esplosi contro il Mizzi, tanto che uno di questi proiettili» raggiunge un’altra persona. « L’assassino – scrive il giudice – esplode almeno sei colpi di pistola (senza che il Mizzi si sia minimamente difeso o abbia minimamente reagito), mostrandosi pienamente visibile ai presenti».

Modalità che «per la loro spregiudicatezza – si legge ancora nelle motivazioni – avevano anche la evidente finalità di intimorire tutte le numerose persone presenti al fatto e potenziali testimoni, inducendoli a non fornire alle forze di polizia alcun elemento utile alle indagini». Il giudice si sofferma poi sul comportamento «dello sparatore», Fiorentino, che «denota la sicurezza di una impunità basata sul sicuro atteggiamento omertoso dei presenti e quindi una coartazione psicologica particolarmente efficace, evocativa della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti».

 

 

 

Articolo del 9 ottobre 2014 da  baritoday.it
Omicidio Mizzi, confermate in Appello le condanne per i due sicari
Riconosciuta l’aggravante mafiosa per il delitto del 39enne di Carbonara, ucciso per errore mentre rincasava la sera del 16 marzo 2011

Sono state confermate dalla Corte di assise di Appello di Bari le condanne per Emanuele Fiorentino e Edoardo Bove, ritenuti gli assassini di Giuseppe Mizzi, il 39enne di Carbonara ucciso per errore in un agguato mafioso la sera  del 16 marzo 2011.

Nel processo di secondo grado, i giudici hanno riconosciuto a carico degli imputati l’aggravante dell’articolo 7, ovvero l’aver favorito un’associazione mafiosa e aver utilizzato nell’omicidio il metodo mafioso.

Giuseppe Mizzi fu avvicinato e freddato a colpi di pistola a pochi passi dalla piazza centrale del quartiere, mentre stava rincasando, vittima innocente di un tragico scambio di persona.

La sentenza ha quindi confermato la condanna a venti anni di reclusione per il 35enne Emanuele Fiorentino, ritenuto l’esecutore materiale del delitto, e 13 anni e 4 mesi per il 34enne Edoardo Bove. Entrambi gli imputati, attualmente detenuti, erano presenti in aula alla lettura del dispositivo. In aula anche  i familiari e la moglie di Giuseppe Mizzi, che dopo la sentenza è scoppiata in lacrime.

 

 

Fonte:  bari.repubblica.it
Articolo del 14 dicembre 2017
“Uccidete il primo che trovate”: a Bari un innocente morì ammazzato dopo l’ordine del boss
Giuseppe Mizzi fu ucciso nella piazza centrale di Carbonara il 16 marzo 2011. Antonio Battista, boss del clan mafioso Di Cosola, condannato all’ergastolo perché ritenuto il mandante del delitto

Antonio Battista, boss del clan mafioso Di Cosola a Bari, ordinò ai suoi uomini di rispondere all’agguato subìto uccidendo un uomo, “il primo che trovate”, del clan rivale Strisciuglio. Quella sera, il 16 marzo 2011, i killer per errore spararono a Giuseppe Mizzi, vittima innocente di mafia, scambiandolo per uno spacciatore. La ricostruzione di quel tragico evento è contenuta nelle motivazioni della sentenza di primo grado nei confronti di Battista (condannato all’ergastolo al termine di un processo celebrato con rito abbreviato perché ritenuto il mandante del delitto) e di altri 59 affiliati al clan accusati di reati di associazione mafiosa, droga, armi ed estorsioni.

Per la morte di Mizzi, vittima innocente di mafia, è già passata in giudicato la sentenza nei confronti dei due esecutori materiali, Emanuele Fiorentino ed Edoardo Bove, condannati rispettivamente a 20 anni e a 13 anni e quattro mesi di reclusione. La posizione di Battista come mandante era stata archiviata fino alle dichiarazioni di sua moglie, Lucia Masella, che dopo essere diventata collaboratrice di giustizia aveva accusato il marito aiutando gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia, la Dda, a riaprire il caso.

“Nella distorta e aberrante logica che muoveva il mandante dell’omicidio – scrive il gup nella sentenza – l’esecuzione del delitto doveva rappresentare il mezzo per riaffermare il predominio della sua figura, quale vertice del sodalizio mafioso, dopo l’onta subita”. Antonio Battista nella primavera del 2011 era da poco uscito dal carcere e stava tentando di riappropriarsi del controllo del territorio riorganizzando il clan. “Aveva dovuto affrontare anche attacchi armati”, ricostruisce il giudice, arrivando a decidere di “lanciare un segnale che al tempo stesso desse conto e riaffermasse la sua caratura criminale”.

Il 15 marzo 2011 sfuggì a un agguato mentre andava in caserma a firmare e rimase ferito a una mano. Disse che “avrebbe sistemato le cose” e quel giorno stesso convocò alcuni amici e ordinò di rispondere a quell’affronto ammazzando qualcuno del clan rivale. Bastarono 24 ore per organizzarsi e la sera del 16 marzo Fiorentino e Bove uccisero Giuseppe Mizzi nella piazza centrale di Carbonara. “Abbiamo fatto, però non sappiamo chi abbiamo preso”, dissero i due a Battista dopo l’agguato, stando a quanto riferito dalla moglie. Ma avevano sbagliato bersaglio e colpito un innocente, forse scambiandolo per uno spacciatore del luogo che gli somigliava.

 

 

Fonte: bari.repubblica.it
Articolo del 18 settembre 2019
ucciso per errore in piazza: da rifare il processo d’appello che ridusse la pena al boss
Bari, 38enne ucciso per errore in piazza: da rifare il processo d’appello che ridusse la pena al boss

Sarà un nuovo processo a stabilire se fu premeditato l’agguato nel quale, per errore, fu ucciso Giuseppe Mizzi. Lo ha deciso la Cassazione accogliendo il ricorso della Procura generale: la sentenza escluse la premeditazione per il mandante.

Sarà un nuovo processo a stabilire se fu premeditato l’agguato nel quale, per errore, fu ucciso Giuseppe Mizzi, il 38enne vittima innocente di mafia, ferito a morte il 16 marzo 2011 a pochi passi dalla sua abitazione nel centro di Carbonara (Bari). Accogliendo il ricorso della Procura Generale, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza con la quale, un anno fa, la Corte di Assise di Appello di Bari, escludendo la contestata aggravante della premeditazione, aveva ridotto dall’ergastolo a 20 anni di reclusione la condanna inflitta nei confronti del boss del clan Di Cosola di Bari Antonio Battista, mandante dell’agguato. I giudici hanno accolto anche il ricorso della difesa sul mancato riconoscimento della continuazione con una precedente sentenza.

Il boss, che è quindi stato definitivamente giudicato colpevole del delitto, ordinò ai suoi di rispondere ad un agguato subito uccidendo un uomo, “il primo che trovate”, del clan rivale Strisciuglio e quella sera, per errore, Emanuele Fiorentino e Edoardo Bove, spararono a Mizzi scambiandolo per uno spacciatore. La famiglia della vittima è stata assistita nel processo dall’avvocato Egidio Sarno.

I due esecutori materiali sono già stati condannati con sentenza ormai definitiva rispettivamente a 20 anni e a 13 anni e 4 mesi di reclusione.

Nel processo a carico di Battista, denominato ‘Pilastro’, erano imputate altre 44 persone, accusate di reati di associazione mafiosa, droga, armi ed estorsioni. Per 42 di loro i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili e le pene, fino a 15 anni di reclusione, sono quindi definite. Per altri due la Suprema Corte ha annullato la precedente sentenza senza rinvio, in un caso riducendo la pena, nell’altro assolvendo l’imputato.

 

 

 

Fonte:  .rainews.it
19 settembre 2019

‘Sulla mafia troppi silenzi’ le parole di Katia, vedova di Giuseppe Mizzi
L’operaio venne ucciso otto anni fa in un agguato a Carbonara nel barese, vittima innocente di uno scambio di persona. La Cassazione ha disposto un nuovo processo in appello per il mandante Antonio Battista.

 

 

 

 

Fonte: telebari.it
Articolo dell’8 giugno 2020
Bari, omicidio Giuseppe Mizzi a Carbonara: ergastolo per il boss Antonio Battista

Giuseppe Mizzi fu vittima di mafia e il suo omicidio fu premeditato. Lo hanno stabilito i giudici della Corte di Assise di Appello di Bari che hanno condannato alla pena dell’ergastolo il boss del clan Di Cosola di Bari Antonio Battista, mandante dell’agguato nel quale, per errore, fu ucciso Mizzi, il 38enne ferito a morte il 16 marzo 2011 a pochi passi dalla sua abitazione nel rione Carbonara di Bari.

Nel processo di appello bis i giudici hanno riconosciuto l’aggravante della premeditazione condannando l’imputato, già riconosciuto responsabile dell’omicidio volontario con l’aggravante mafiosa, alla massima pena.

Il boss ordinò ai suoi di rispondere ad un agguato subito uccidendo un uomo, “il primo che trovate”, del clan rivale Strisciuglio e quella sera, per errore, Emanuele Fiorentino e Edoardo Bove spararono a Mizzi scambiandolo per uno spacciatore. I due esecutori materiali sono già stati condannati con sentenza ormai definitiva rispettivamente a 20 anni e a 13 anni e 4 mesi di reclusione.

In primo grado Battista, al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato, era stato condannato all’ergastolo per omicidio volontario premeditato con l’aggravante mafiosa. In appello la condanna era stata ridotta a 20 anni per esclusione della premeditazione.

La Cassazione aveva poi annullato con rinvio quella sentenza e oggi la pronuncia dei nuovi giudici d’appello ha confermato l’originaria impostazione accusatoria. Nel processo i familiari della vittima sono stati assistiti dagli avvocati Egidio Sarno e Marisa Savino.

 

 

 

Leggere anche:

 

/vivi.libera.it
Giuseppe Mizzi – 16 marzo 2011 – Bari (BA)
Pino è il simbolo della Bari onesta e di tutti quei lavoratori che come lui si alzavano alle 4 del mattino per andare al lavoro, senza mai arrendersi alle difficoltà della vita.

 

 

 

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