“C’erano tutti, altrimenti sapremmo la verità” di Francesco “baro” Barilli

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“C’erano tutti, altrimenti sapremmo la verità”

di Francesco “baro” Barilli

Articolo del 12 Aprile 2007 da reti-invisibili.net

Intervista con Giovanna Maggiani Chelli (Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili)

La cronaca dell’Italia repubblicana è disseminata di stragi. Ognuna ha le proprie peculiarità e la propria identità, ma chiunque voglia avvicinarsi ad esse con finalità storiche ha il dovere di cercare di iscriverle in “macrocontesti” che ne spieghino il disegno generale, per poi passare ad esplorazioni più dettagliate caso per caso. Così, ad esempio, è corretto parlare di strategia della tensione per le stragi che si sono succedute da Piazza Fontana (1969) al Rapido 904 (1984), anche se personalmente ho sempre ritenuto che i prodromi di quella strategia fossero visibili fin dal primo maggio 1947 (strage di Portella della Ginestra).
Come inserire in questo ambito la strage di Via dei Georgofili, avvenuta a Firenze nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993? Ritengo lo si possa fare parlando di una “seconda” strategia della tensione. Più breve, meno sanguinaria (quantitativamente parlando), ma non per questo meno grave o meno inquietante.

Il 1993 è un anno strano e cruciale, il giro di boa fra la prima e la seconda repubblica. A Milano l’inchiesta mani pulite sta sconvolgendo il mondo politico, con un terremoto che ne travolgerà un’intera generazione causandone il ricambio. A Palermo abbiamo l’arrivo di un nuovo Procuratore, Giancarlo Caselli, e l’arresto di Totò Riina. Pochi mesi prima sono stati uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (rispettivamente il 23 maggio e il 19 luglio 1992). La guerra tra Stato e mafia si è fatta più dura e spietata: lo Stato sembra voler estendere la lotta al livello di connivenze e protezioni politiche; la mafia risponde in modo sanguinario.
Nella primavera del 1993, l’Italia torna ad essere teatro di una serie di stragi, alcune fortunatamente sventate, che causeranno una decina di morti e molti feriti. Si comincia con la mancata strage di Via Fauro (attentato a Maurizio Costanzo), si prosegue con Firenze il 27 maggio, si arriverà agli attentati in contemporanea del 27 luglio a Milano e Roma. Si tratta di episodi che oggi, nonostante la loro gravità e nonostante siano più recenti di quelli della “prima” strategia della tensione, appaiono colpevolmente dimenticati.

Vediamo ora di ricostruire brevemente dinamica e storia processuale della strage di Firenze, che ha un antefatto inquietante il 5 novembre 1992, con la collocazione nel giardino dei Boboli (all’interno di Palazzo Pitti) di un proiettile di artiglieria risalente alla seconda guerra mondiale. Un ordigno inoffensivo, ma dal chiaro valore simbolico, fatto ritrovare ai piedi della statua del magistrato Marcus Cautius. Fu il catanese Santo Mazzei a portare il proiettile nel giardino, rivendicando l’azione (un chiaro avvertimento) con una telefonata all’ANSA. Passano pochi mesi e un Fiat Fiorino trasformato in autobomba (circa 250 kg di miscela esplosiva) deflagra all’1,04 del 27 maggio 1993 in Via dei Georgofili. Un impatto devastante, che provoca 5 morti, una cinquantina di feriti, molti sfollati dalle abitazioni circostanti (intaccate e rese pericolanti dall’esplosione) e gravi danni ad edifici storico/artistici, fra cui la celebre Galleria degli Uffizi. Le prime indagini sono efficienti: si scopre la provenienza della vettura (rubata a Firenze pochi giorni prima e trasformata in autobomba a Prato), e si individua in Cosa Nostra regia ed esecuzione della strage. La mafia ordinò e realizzò la strage, nell’ambito di una strategia che voleva realizzare una pressione sulle Istituzioni, in risposta ad un’offensiva che lo Stato aveva lanciato sul piano giudiziario contro la mafia stessa.

Chiudono la storia processuale, sanciti in via definitiva dalla Cassazione il 6 maggio 2002, numerosi ergastoli e pesanti condanne. Fra i condannati figurano i nomi maggiormente noti della mafia: Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano, Totò Riina e altri ancora. Le dure condanne verso i vertici di Cosa Nostra sono un risultato sicuramente notevole, ma purtroppo incompleto. I magistrati titolari dell’inchiesta (Gabriele Chelazzi e Giuseppe Nicolosi) palesarono fin dall’inizio delle indagini dubbi su una gestione in totale autonomia da parte di Cosa Nostra. Entità esterne ordinarono (o perlomeno collaborarono, coprirono, o finsero di non vedere) la strage di Firenze. Ma su queste entità esterne, su queste connivenze politiche con Cosa Nostra, non si è mai fatta chiarezza.

Il silenzio sulle stragi italiane è un macigno sulla dignità del nostro Paese. Ma appare paradossale che quel silenzio a volte venga squarciato sulle stragi “storiche” (piazza Fontana eccetera) mentre incombe in modo pressochè totale sulla stagione del ’93. Personalmente ho due spiegazioni, concorrenti e non contrastanti:
1. Quella che ho definito come “prima” strategia della tensione, pur in assenza di una compiuta verità giudiziaria, ha perlomeno goduto di una valida ricostruzione storica, indirizzata agli ambienti dell’eversione dell’estrema destra. E’ chiaro (ma voglio precisarlo) che questa è una ben magra consolazione per le vittime di quelle stragi, ma storicamente mi pare un dato acclarato (seppure messo a volte in discussione da revisionismi di comodo), che favorisce la discussione e gli approfondimenti.

2. Quella che ho definito come “seconda” strategia della tensione, ha visto una precisa ricostruzione processuale per quanto attiene il coinvolgimento della mafia, ma il livello di connivenza politica non lo si è mai riuscito ad esplorare. Parliamo di una stagione più vicina temporalmente, ma proprio questa vicinanza nel tempo causa paradossalmente le lacune sul piano storico. E’ infatti ipotizzabile che quei politici che fungevano da referenti di Cosa Nostra (con livelli diversi di coinvolgimento, s’intende, non tutti penalmente rilevanti) siano tuttora attivi.

Di tutto questo abbiamo parlato con Giovanna Maggiani Chelli, Portavoce dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili.

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12 aprile 2007

Francesco Barilli:
Le vittime delle stragi italiane, da Portella della Ginestra in poi, sono centinaia. Nelle indagini, a volte si è arrivati a scoprire “la bassa manovalanza” dietro a quegli attentati; quasi mai si è arrivati a colpire i vertici decisionali. A suo avviso, tra magistratura e politica, dove risiedono le maggiori responsabilità?

Giovanna Maggiani Chelli:
Il processo per le stragi del 1993 inizia il 12 Giugno 1996 siamo in pieno governo di centro sinistra, c’è un Presidente della Repubblica che a novembre del 1993 ebbe a dire: “Prima hanno provato con le bombe…….”.
Dissi a mio marito “questa volta sono fregati sapremo i nomi degli stragisti……….”
Mi sbagliavo, mai un processo per strage fu così oscurato dalla stampa di governo come quello inerente le stragi del 1993.
Credo inoltre si sia arrivati attraverso articoli di stampa a “bruciare”, rendendole note, anche parte delle indagini in corso sui “mandanti esterni alla mafia”.
Per le stragi del 1993 è stata la politica a non volere fossero perseguiti i “mandanti esterni alla mafia”, primo perché coinvolta alla grande in grandi traffici per scopi economici e secondo perché ha avuto ed ha funzione di copertura per “Altri”.
Per le altre stragi è una mia opinione abbia giocato un ruolo importate anche la Magistratura, non a tutti è capitato un Magistrato come Gabriele Chelazzi, che mai si sarebbe fatto raggiungere politicamente da nessuno.

F. B. :
Ho letto con interesse alcune interviste al compianto Dottor Chelazzi (magistrato titolare dell’inchiesta) e all’avv. Ammannato (uno degli avvocati di parte civile nel processo su via dei Georgofili), e volevo fare con lei alcune riflessioni nate da queste interviste. Cominciamo con una riflessione comune ai due: entrambi parlano della collusione tra politici e mafia, ed entrambi, con accenti diversi, sottolineano come non si possa comunque parlare di “mandanti politici” ed “esecutori mafiosi”, evidenziando l’indipendenza in via gerarchica di Cosa Nostra e sostenendo quindi che è più corretto parlare di agganci e di concorrenze più che di rapporti subordinati. In altre parole, non bisogna pensare a qualcuno posto “sopra” la mafia a sovrintenderla, ma di qualcuno “a fianco” della mafia. Credo che per chiunque segua esternamente queste vicende si tratti di una distinzione difficile da comprendere (essendo più semplice immaginare una struttura piramidale e gerarchica). Lei, che si è trovata dolorosamente a seguire questa materia, che opinione si è fatta, circa le modalità con cui si intrecciano i rapporti tra mafia e politica?

G. M. C. :
La mafia è sovrana.
Un Giudice una volta ebbe a dirmi, lei sbaglia quando dice che Riina sedeva accanto ai politici, agli imprenditori, e quant’altro, Riina Presiedeva quel tavolo e loro ubbidivano..
Io credo, a Giuseppe Ferro, capo mandamento di Alcamo, “pentito”, quando dice nel processo di Firenze per le stragi del 1993: “a noi della mafia quelle stragi non interessavano”. Pur considerando che gli interessavo eccome, visto che il “41 bis” non lo volevano più, non volevano più l’ergastolo e neppure la confisca dei beni e volevano la revisione dei processi, non parliamo poi dei pentiti e credo anche che in questo Paese ci fosse chi aveva bisogno di un grosso favore da chi militarmente era organizzato come la mafia corleonese.
Il favore di fermare certe indagini su grandi traffici, in corso in quegli anni nelle procure di mezza Italia, non parlo di mani pulite, di tangentopoli, a meno che le tangenti non sfiorassero il 17 % al tempo delle vecchie lire, perché parlo di traffico di armi, di rifiuti tossici.
Per questo siamo stati messi nelle mani della mafia affinché con le sue azioni desse messaggi eclatanti, questo io credo. E’ chiaro il messaggio del proiettile di Boboli in tal senso anche se si minimizza e si fa finta di non “leggerlo”.
La mafia ha scelto come fare gli attentati, ha scelto il peso del tritolo da usare in proporzione al botto che doveva fare e ha scelto anche gli obiettivi perché i mafiosi studiano storia dell’Arte oggi.
La mafia è giustamente stata più che sovrana, e forse davvero Riina presiedeva quel tavolo, fra mafiosi ci si intende, anche se alcuni hanno un abito più blu di altri.

F. B. :
In un’intervista del 22 marzo 1998, Chelazzi spiega bene perché le indagini si indirizzarono quasi subito verso Cosa Nostra e non verso il terrorismo “tradizionale”: non c’erano elementi che facessero pensare ad un’attività da parte dell’eversione politica; inoltre l’autobomba era un po’ la “firma di fabbrica” della mafia, dopo Capaci e Via d’Amelio. Questo mi ha fatto pensare ad una certa sfacciataggine da parte della mafia, quasi un voler firmare gli attentati: si trattava di una convinzione di essere intoccabili o della precisa volontà di “parlare chiaramente” a chi “doveva ascoltare”? O un insieme di questi due fattori?

G. M. C. :
Il Ministro dell’Interno di allora alle ore 23 del 14 Maggio 1993, giorno dell’attentato di via Fauro, a Costanzo al telefono disse: è stata la mafia.
Più chiara e più sfacciata la mafia non poteva essere il messaggio era chiaro, inequivocabile e suonava così: chi ha da capire capisca.

F. B. :
Veniamo ora all’avvocato Ammannato, il quale (intervistato da Andrea Sorrentino per “Il Firenze”) parlando del contesto degli anni ’92-’94 dice: “Imprenditoria economica, politica, consorterie, massonerie e cose varie hanno tutti interesse a ricostruire un centro che è crollato. Per aiutare questo processo nasce la Lega, Forza Italia che nel ’94 vince le elezioni e da allora non ci sono più stragi. Allora uno si deve domandare perché iniziano le stragi e perché finiscono nel ’94 … Se poi andiamo negli anni successivi e vediamo nello stadio di Palermo uno striscione a caratteri cubitali ‘Berlusconi si dimentica della Sicilia e del 41 bis’ vuol dire che delle promesse ci sono state e delle promesse devono essere, poi, mantenute.”. Di massima concordo, però la faccenda mi sembra più complessa. Le stragi del ’93 si inseriscono all’interno di una strategia della mafia che dal ’92 vuole reagire alla campagna dello Stato contro la criminalità organizzata. La mafia mette nel mirino il regime carcerario duro (il famoso 41 bis) e il ruolo decisivo dei collaboratori di giustizia. Ma mi sembra che i 14 anni passati, con maggioranze politiche diversamente connotate alla guida del Paese, non abbiano evidenziato una reale maggiore indipendenza delle Istituzioni rispetto alle pressioni mafiose, e volevo un suo parere su questo aspetto.

G. M. C. :
L’ho già detto il mio pensiero, il mio parere: la politica fa da copertura a se stessa ed ad “Altri”. Lo fa in modo trasversale a tutto l’arco costituzionale, affinché non si sappia (giuridicamente parlando) la verità sulle stragi del 1993, e lo fa proprio perché è stata corrotta ed ha partecipato, anche a livello amministrativo locale, ai “banchetti” dei grandi traffici.
Bisogna necessariamente pensare che gli “Altri” siano nomi troppo altolocati, con gradi molto alti all’interno di varie gerarchie che contano, perché siano solo sfiorati dal dubbio che abbiano fatto morire Caterina, Nadia Nencioni, i loro genitori, e fatto bruciare vivo il giovanissimo Dario Capolicchio per i loro affari personali .
Non si spiega altrimenti l’omertà che regna intorno alle stragi del 1993.
Se tutto fosse così semplice da ricondursi ancora una volta ad un unico colore politico come pare sia stato per il passato, io non voglio entrare nel merito delle stragi degli anni 70, so troppo poco, ebbene non si capisce perché per le stragi del 1993 finalmente non si siano rinviati a giudizio anche “i mandanti esterni a cosa nostra”.
Anch’io quindi in linea di massima posso concordare con l’Avv. Ammannato, ma sono anche certa che se Gabriele Chelazzi non fosse morto, quel decimo anniversario chissà forse avrebbe iniziato a spiegare cosa esattamente volesse dire Brusca Giovanni con le parole “la sinistra di governo sapeva e ha taciuto”.
E perché poi alcuni anni dopo, Brusca Giovanni abbia cambiato il suo dire precisando, proprio a Firenze nell’aula bunker che chi sapeva era la “sinistra democristiana”, credo qualcuno lo dovrebbe spiegare a noi oggi.
Perché, vede, in questo Paese ci sono 39 persone politici e non, che hanno a suo tempo ricevuto il “papello” di Riina ossia un elenco di richieste della mafia, questo prima della strage di Firenze.
Non credo affatto che quei 39 soggetti che fecero finta di non aver ricevuto la missiva della mafia, condannando i nostri parenti a morte, stessero tutti a destra o al centro.

F. B. :
Quale è il suo giudizio sull’attenzione che vi ha riservato (o negato…) il mondo dei media italiani?

G. M. C. :
Per l’amor di Dio, abbiamo tirato l’anima con i denti per strappare la pubblicazione di una lettera, o una trasmissione televisiva all’ora delle casalinghe, senza nulla togliere alle madri di famiglia che tutto capiscono, ma che non hanno voce in questo Paese.

F. B. :
Siamo ormai vicini al quattordicesimo anniversario della strage. Cosa significa oggi “ricordare” e cosa vi aspettate dalle Istituzioni?

G. M. C. :
Vogliamo ricordare, perché ne abbiamo bisogno, abbiamo bisogno che si capisca quello che ci hanno fatto, ma non è facile.
La gente ha troppi problemi e non riesce a capire che il motivo per il quale oggi si possono dare a cuor leggero stipendi da 1000 euro al mese ai ricercatori universitari, e agli operai, è proprio frutto di quel tritolo che per noi è stato causa di morte e disperazione, non ce la fa anche perchè come dicevo non li hanno informati in modo giusto. Ma non solo i giornali che hanno tendenze di destra o di centro.
Dalle Istituzioni ci aspettiamo che rimandino Cosimo Lo Nigro e Salvatore Benigno a 41 bis, e tutti insieme la smettano di prenderci in giro, visto che abbiamo già pagato.
Abbiamo già sofferto anche troppo per i fiumi di denaro di cui è stato defraudato questo Paese, quando veniva aggirata la legge 185 del 1990 quella sulla vendita delle armi. Una legge che tra l’altro oggi è stata rivista e ricorretta in modo “bipartisan”, affinchè si potesse rendere legale ciò che ieri era illegale.
Oggi in galera per le così dette “triangolazioni” non si andrebbe più nessuno, si può aggirare l’ostacolo, altro che disarmo di cui anche a Firenze ultimamente si è parlato.
Andremo presto a sentenza per le cause civili, e vedremo che succederà.
Una cosa è certa il Governo non emetterà di certo un Decreto da 5 milioni di euro a famiglia, come ha fatto per la famiglia del Prof Biagi per evitarci “l’umiliazione”, come è stato detto, delle cause civili.
Il prof. Biagi non aveva scorta, e ci spiace fare nomi, nel fare paragoni, ma non è colpa nostra se anche noi non siamo stati tutelati. Anzi siamo stati messi nelle mani della mafia, praticamente da tutti quanti.
Come diceva il Pacini Battaglia : “c’eravate tutti”. E per Dio è vero, in via dei Georgofili c’erano tutti, altrimenti oggi avremmo la verità.

 

 

 

 

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