11 Luglio 2002 Curinga (CZ). Scompare Santo Panzarella, 29 anni. Forse era l’amante della moglie di un boss. Vittima di lupara bianca.

Foto dal film “La Santa – Viaggio Nella Ndrangheta Sconosciuta diRuben H. Oliva e Enrico Fierro.

Santo Panzarella aveva 29 anni quando il 10 luglio 2002 scomparve nel nulla da Curinga (CZ), uno dei paesi del cosiddetto “triangolo della lupara bianca” per i tanti scomparsi. L’ultima volta che lo videro era alla guida della sua Alfa Romeo 164 trovata poi incendiata nei pressi di un fiume.
Si dice fosse l’amante della moglie di un boss. Per questo è stato assassinato e il suo cadavere, fatto a pezzi, è stato fatto scomparire.
Da intercettazioni telefoniche ed ambientali è emerso che il giovane sarebbe stato attirato con una scusa in un’area nella zona industriale ex Sir di Lamezia e qui gli sarebbe stato sparato un colpo di pistola in pieno viso. Egli non sarebbe morto sul colpo e, ancora vivo, sarebbe stato caricato nel bagagliaio di un’auto. Dopo qualche chilometro i sicari, accortisi che era ancora cosciente, si sarebbero fermati per dargli il colpo di grazia. Poi, il cadavere, sarebbe stato scaricato in una zona montagnosa tra Curinga (Catanzaro) e Filadelfia. C’è stato un processo ai presunti colpevoli ma, nonostante le rivelazioni di un pentito, che avrebbe assistito all’omicidio, sono stati prosciolti dall’accusa.

 

 

Articolo del 29 Ottobre 2006 da ilgiornale.it
Massacrato perché va con la moglie del boss
di Antonello Lupis

Era l’amante della moglie di un boss. Per questo è stato assassinato e il suo cadavere, fatto a pezzi, è stato fatto scomparire. Questa la ragione alla base di un caso di lupara bianca, avvenuto nel 2002, le cui indagini hanno portato all’arresto di tre persone – Tommaso Anello, 42 anni, di Filadelfia (VV), ed i fratelli Vincenzino e Giuseppe Fruci, rispettivamente di 30 e 37 anni- con le accuse di omicidio e distruzione di cadavere, aggravate dal 416 bis. A pagare con la vita la violazione del codice della ’ndrangheta è stato il giovane Santo Panzarella, 29 anni, di Curinga, piccolo centro del Catanzarese, scomparso all’improvviso il 10 luglio del 2002. A distanza di quattro anni, a ricostruire la terribile e agghiacciante vicenda sono stati gli agenti della squadra mobile di Catanzaro: Panzarella, secondo la polizia, aveva una relazione con la moglie di Rocco Anello, parente di Tommaso, uno degli arrestati. Quest’ultimo, insieme a fratelli Fruci, avrebbe deciso autonomamente, senza che il capo ne fosse informato, di eliminarlo. A denunciare la scomparsa del giovane era stata, l’11 luglio 2002, la madre. Nel corso degli anni successivi, la donna aveva chiesto più volte, pubblicamente, agli assassini del figlio di rivelare il luogo di occultamento del cadavere per dargli degna sepoltura, dando per scontato già allora che il figlio fosse rimasto vittima della «lupara bianca».
Le prime indagini, comunque, avevano imboccato la pista di un tradimento del giovane, ritenuto affiliato alla cosca Anello di Filadelfia e al cui vertice, secondo gli investigatori, si trovano i fratelli Rocco e Tommaso Anello. Dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, però, è emersa una verità diversa: il giovane sarebbe stato attirato con una scusa in un’area nella zona industriale ex Sir di Lamezia e qui gli sarebbe stato sparato un colpo di pistola in pieno viso. Panzarella non sarebbe morto sul colpo e, ancora vivo, sarebbe stato caricato nel bagagliaio di un’auto. Dopo qualche chilometro i sicari, accortisi che era ancora cosciente, si sarebbero fermati per dargli il colpo di grazia. Poi, il cadavere sarebbe stato scaricato in una zona montagnosa tra Curinga (Catanzaro) e Filadelfia. Secondo gli investigatori, è probabile che il corpo sia stato fatto a pezzi perché una clavicola di Panzarella è stata ritrovata in un torrente che confluisce nel lago dell’Angitola. Le indagini si sono avvalse della collaborazione di un pentito della cosca Anello, il quale non partecipò materialmente all’omicidio, ma vi ha assistito.
E ora si teme che possa essere in pericolo la anche vita della moglie del presunto boss adito». La donna, proprio ieri, è stata convocata dagli agenti della squadra mobile di Catanzaro, i quali le hanno prospettato le possibili conseguenze degli arresti effettuati infatti, Rocco Anello non era al corrente del tradimento. Le è stata offerta protezione, ma lei ha rifiutato..
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Articolo del 15 Dicembre 2010 da lameziaclick.com
Giovane vittima della lupara bianca, assolto l’assassino
(CALABRIANEWS24)
Giuseppe Fruci, di 39 anni, imputato per l’omicidio pluriaggravato di Santo Panzarella, 29enne lametino scomparso per lupara bianca l’11 luglio del 2002 a Curinga (Catanzaro), è stato assolto.

La sentenza è arrivata oggi dalla Corte d’assise di Catanzaro (presidente Giuseppe Neri), dopo circa cinque ore di camera di consiglio. Dopo questa pronuncia, dunque, non c’è alcun colpevole riconosciuto per il delitto Panzarella, dal momento che anche i coimputati di Giuseppe Fruci, e cioè Tommaso Anello e Vincenzino Fruci, sono già stati assolti “per non aver commesso il fatto”, al termine dei giudizi abbreviati, il 3 luglio del 2009. Diverso il dispositivo di sentenza per l’odierno imputato, che i giudici hanno scagionato con formula dubitativa, e cioè per contraddittorietà della prova. In tal senso è stata determinante la linea tenuta dal difensore di Fruci, l’avvocato Francesco Gambardella, che ha puntato a dimostrare l’assoluta mancanza di riscontri che comprovassero il coinvolgimento del suo cliente nella sparizione di Panzarella. Nel corso del lungo dibattimento il penalista è anzitutto riuscito ad insinuare il dubbio che i resti ossei rinvenuti nell’Angitola non appartengano a Santino, come invece affermato dal consulente della Procura. Lo ha sostenuto più volte fino a che, lo scorso febbraio, ha ottenuto che la Corte disponesse nuovi accertamenti sui frammenti di clavicola ritrovati dopo tanti anni dalla scomparsa del giovane lametino. Il 6 luglio scorso i periti, in aula, hanno spiegato che la clavicola è sicuramente di un essere umano, non hanno escluso che l’osso sia di Santo Panzarella, ma si sono detti impossibilitati ad affermare che lo sia certamente visto il troppo tempo trascorso. Allo stesso modo Gambardella ha puntato a dimostrare la mancanza di riscontri delle altre dichiarazioni accusatorie di Francesco Michienzi, il giovane pentito che, crollato sotto il peso insopportabile di aver assistito al massacro dell’amico fraterno, indicò agli investigatori il luogo dove avrebbero potuto ritrovarne i resti, in un affluente dell’Angitola dove il cadavere del giovane sarebbe stato abbandonato dopo l’omicidio (il collaboratore è stato poi imputato per favoreggiamento aggravato e condannato a 10 mesi di reclusione il 3 luglio 2009). Michienzi indicò pure i tre presunti responsabili del delitto, nelle persone di Giuseppe e Vincenzino Fruci e Tommaso Anello, spiegando che la condanna a morte di Santino fu decisa per via della relazione del giovane con la moglie di Rocco Anello, ritenuto il capo dell’omonima cosca di Filadelfia (Vibo Valentia). Fu proprio Michienzi a consentire agli uomini della Squadra mobile, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, di trovare la pista anni dopo la sparizione di Santino portando a conclusione il caso, cosi’ come chiesto disperatamente da Angela Donato, la “madre coraggio” che per anni si è battuta in ogni sede – compresa la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” – perché fossero riprese e portate avanti le indagini sulla scomparsa del figlio, che lei stessa aveva tentato di svolgere personalmente. La Donato (costituita parte civile con gli avvocati Vincenzo e Antonio Battaglia) era presente oggi in aula, dove ha dovuto amaramente prendere atto dell’ultima sentenza – dopo quella del luglio 2009 – che lascia ufficialmente senza colpevoli la sparizione di suo figlio. Aveva invece chiesto una sentenza di colpevolezza per Fruci il pubblico ministero, Gerardo Dominijanni, che aveva proposto per lui l’ergastolo con le pene accessorie del caso e l’isolamento diurno.

 

 

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Articolo del 17 Febbraio 2011 da calabrianotizie.it
«Ho ripreso a scavare a mani nude alla ricerca dei resti di mio figlio Santo»
La mamma coraggio Angela Donato non si rassegna – Questo caso di lupara bianca tiene in ansiada nove lunghi anni la famiglia Panzarella
di Antonio Sisca (Gazzetta del Sud.it)

FILADELFIA (VV) – «Ho ripreso da giorni e senza l’aiuto di nessuno, come ho fatto per sette anni e continuerò a farlo finchè avrò vita, le ricerche dei resti di mio figlio Santo, visto che i giudici hanno assolto i presunti colpevoli del suo omicidio, non ritenendo valide le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Michienzi. Se è necessario ripercorrerò metro per metro tutto il tratto del fiume dove Santo sarebbe stato sepolto, dopo essere stato barbaramente assassinato scavando se necessario anche con le mani».

A parlare così è Angela Donato, madre di Santo Panzarella, il giovane scomparso in una calda giornata di luglio del 2002 dopo essere uscito da casa per alcune commissioni.

La signora Angela, da tutti conosciuta come una madre coraggio per avere apertamente puntato l’indice nei confronti di persone di Filadelfia e Acconia che apparterrebbero secondo gli inquirenti alla malavita organizzata accusandole di essere gli autori dell’omicidio del figlio, non intende incrociare le braccia neanche dopo la sentenza di non colpevolezza emanata qualche tempo dai giudici della Corte di Assise nei confronti dei fratelli Giuseppe e Vincenzino Fruci e si è messa di nuovo sulle tracce dei resti del figlio, ripartendo dai luoghi dove era stata ritrovata nel mese di giugno del 2006 una clavicola che in origine si era detto appartenesse a Santo, ipotesi che i giudici hanno però ritenuto insufficiente mandando assolti gli imputati anche perché gli esami del Dna non avevano dato risposte certe.

«Io non credo più nella giustizia terrena. Di certo, però, chi ha ucciso mio figlio, non potrà sfuggire a quella divina. Santino aveva commesso uno sgarro nei confronti di un pericoloso boss, per questo motivo è stato eliminato. Più volte lo avevo supplicato a tirarsi fuori da una storia pericolosa ma non mia voluto ascoltare; oggi, a distanza di nove anni dalla sua morte per la legge non ci sono colpevoli».

Santo Panzarella aveva 29 anni quando il 10 luglio 2002 scomparve nel nulla; l’ultima volta che lo videro stava andando con la sua Alfa Romeo 164 trovata poi incendiata nei pressi del fiume Angitola al Sert, il centro per la cura dei tossicodipendenti.

La signora Angela da allora ha cercato con ogni mezzo di scoprire la verità che però non è mai arrivata. Anche lei come Anna Fruci, madre di Valentino Galati, nei giorni scorsi ha chiesto di sapere a chi appartengono le ossa umane ritrovate 16 mesi fa a Castellano, in territorio di Francavilla, in una zona non molto distante da dove nel 2006 è stata ritrovata la clavicola che in un primo momento si era detto appartenesse al figlio.

Del ritrovamento di questi resti si è dibattuto anche in aula, durante il processo sull’omicidio di Santino. Secondo il consulente della Procura, quella clavicola potrebbe essere proprio quella di Santino. Questa ipotesi, però, è stata confutata dall’avvocato Francesco Gambardella, tanto da indurre la Corte a disporre nuovi accertamenti sui frammenti ritrovati dopo tanti anni.

Il 6 luglio scorso i periti, in aula, hanno però spiegato che la clavicola è sicuramente di un essere umano, e non hanno escluso che l’osso sia proprio di Santo Panzarella, ma si sono detti impossibilitati ad affermare che lo sia certamente visto il troppo tempo trascorso. E così a quei frammenti si aggrappa la speranza dei familiari delle tante vittime della lupara bianca della zona.

 

 

 

Articolo del 20 Aprile 2009 da  differenza.org
Il triangolo delle Bermude
Mafia – sostantivo femminile #1: «Scandalo a Filadelfia» di Alberto Nerazzini racconta di come si possa sparire tra Lamezia e Vibo

(“Il corpo e il sangue d’Italia” a cura di Christian Raimo – Editore Minimum Fax)

di Gian Maria Tosatti

Recensire un solo racconto all’interno di un’antologia potrebbe sembrare una operazione politicamente scorretta e potrebbe far desumere che il resto non valga neppure una riga di analisi. E invece è tutto l’opposto. Almeno in questo caso, perché il testo in questione è un racconto contenuto in una delle raccolte di Minimum Fax, ossia di quella casa editrice che ha letteralmente resuscitato il concetto di antologia per farne uno strumento letterario d’indagine sul presente. Così che questa, come le altre raccolte dell’editore romano finiscono per essere abissi tascabili entro cui infilare di tanto in tanto il naso, un po’ a caso, senza la necessità di una lettura progressiva. E il libro in questione, ossia Il corpo e il sangue d’Italia, uscito alla fine del 2007, ne è evidentemente un esempio. A comporlo, sotto la cura di Christian Raimo, cui si deve gran parte del merito di questo restyling editoriale, sono un gruppo di giornalisti che hanno cercato di trovare una forma letteraria per raccontare storie reali che potessero fungere da osservatorio privilegiato su un paese che quotidianamente sfugge a se stesso pur non facendo altro che parlarsi addosso.

E dell’unico racconto di cui si parlerà in questa recensione, la cosa che forse colpisce di più è l’accenno rapidissimo che l’autore fa ad una videocassetta vista a casa della famiglia di Valentino Galati, un ragazzo scomparso (letteralmente) nel quadro della particolare storia di mafia (‘ndrangheta per la precisione) che è oggetto della storia. Quando il televisore viene acceso Alberto Nerazzini ha appena condotto una crudissima intervista alla madre del ragazzo. Per tutto il tempo, domanda dopo domanda, una donna in nero, con le sue mezze risposte ha dato uno dei più lancinanti ritratti di cosa sia la mafia. Nelle sue esitazioni di fronte alle domande del giornalista che le chiedeva conto dell’omicidio del figlio da parte dei suoi vicini di casa, la famiglia del boss, c’era la rabbia e l’impotenza, il disorientamento e la consapevolezza. Nerazzini per circa dieci pagine insiste, provoca la donna, in modo quasi insopportabile per chi non abbia l’ostinazione del reporter a far uscire la verità e tutti i suoi risvolti, per chi non abbia lo stomaco del chirurgo che per fare l’autopsia deve aprire in due il corpo di un uomo e frugarci dentro. Alla fine, la tensione si allenta. Nel videoregistratore una delle figlie della donna mette la videocassetta su cui si susseguono i diversi interventi televisivi fatti dalla madre a seguito della scomparsa del fratello. E’ sempre la stessa intervista. Il tema non può cambiare, eppure nel pomeriggio di Rai Uno, per un quarto d’ora, il conduttore della trasmissione, anch’egli un giornalista, uno con lo stesso tesserino di Nerazzini, riesce a condurre un dialogo senza mai far emergere l’ombra della mafia. Neppure un accenno, neppure un’allusione.
Dopo pochi capoversi il racconto si chiude. Questo piccolo dettaglio, queste cinque righe tra sessanta pagine mettono il sigillo sull’intera vicenda e spiegano da una parte il perché l’autore fa il mestiere che fa e dall’altra definiscono il valore di questa piccola inchiesta trattata come un racconto letterario. Eccola lì a confronto la stessa storia vista da due angolazioni diverse. In una non c’è niente se non appunto una scomparsa, nell’altra c’è appunto un racconto di «corpo e sangue».
Per conoscerlo bisogna andare un po’ indietro, bisogna raccontare la storia di un altro ragazzo scomparso, uno la cui madre non ha avuto esitazione a rompere il silenzio a fare nomi e cognomi a sfidare l’omertà di tutti. Santo Panzarella come Valentino Galati scompare nel nulla un pomeriggio di primavera. Che fine ha fatto lo racconterà tempo dopo un testimone dell’esecuzione senza però raccontarne i motivi. Alla base di tutto c’è una donna, Angela Bartucca, moglie del capoclan di Filadelfia (che non si trova negli Stati Uniti, ma incastrata tra le province di Lamezia Terme e Vibo Valentia), donna bellissima, capelli neri e occhi dello stesso colore, figura umana, quasi animale, in cerca di un amore che non riesce a provare per un marito che passa lunghissimi soggiorni in carcere. E’ lei la misteriosa fidanzata di cui alcuni picciotti parlano senza farsi capire pochi giorni prima di sparire nel nulla. E’ così che va. Così raccontano quelle due madri così diverse, chiuse dal destino in un tagliente triangolo femminile che getta una luce bruciante su un mondo fatto di ombre, di lati oscuri. Attorno una massa indistinta di personaggi che regolano conti, che «fanno pulizia» dell’onore del boss la cui donna «non può» tradire e se lo fa allora la controparte deve sparire, diventare nessuno appunto. Ed ecco la semplice trama di questa storia di corpi mai trovati, dove tutto sembra chiaro solo a chi legge il racconto a centinaia di chilometri da quella terra in cui anche una madre con un figlio ucciso può dire solo mezze verità.

Nerazzini, con una puntualità che gli è consueta quando fa il giornalista (ricordiamo il documentario La mafia bianca di cui ci occupammo nell’anno 1 numero 6) mette in fila tutti gli indizi, tutti i dettagli di un racconto che riesce a tenere il ritmo avvincente di una prosa letteraria rubando il respiro al lettore dall’inizio alla fine. Ci sono i fatti, sì, ma anche tutte quelle sfumature di cui talvolta le storie di cronaca hanno bisogno per poter essere comprese sul serio, per poter mostrare i moventi di una macchina omicida come la mafia, che, per quanto sia difficile crederlo è composta da esseri umani, uomini e donne di «corpo e sangue».

 

 

 

A Sangue Freddo Reloaded – Scomparsi – La storia di Santo Panzarella.

LaC TV Pubblicato il 30 mar 2016
Sono le vittime della più atroce condanna da parte della ‘ndrangheta: la lupara bianca. Giovani scomparsi nel triangolo nero dell’Angitola, famiglie distrutte alle quali è negato persino il lutto. Il racconto di alcuni di questi casi partendo dalla testimonianza di Angela Donato, coraggiosa madre di Santo Panzarella.

 

 

 

 

GLI INTOCCABILI CULT P1 PANZARELLA
LaC TV
Pubblicato il 1 ago 2016

 

 

Fonte:  catanzaro.gazzettadelsud.it/
Articolo del 2 ottobre 2017
Ciriaco e Panzarella, delitti complementari?

Un mistero nel mistero. Perché ci sono delle connessioni tra l’omicidio di Torquato Ciriaco e quello di Santino Panzarella. Si tratta di personalità del tutto diverse, il primo 55 anni avvocato affermato a Lamezia, l’altro un 29enne coinvolto in piccole faccende delinquenziali e residente ad Acconia di Curinga. Il giovane avrebbe collaborato nell’omicidio dell’avvocato, e può darsi sia stato eliminato perché confidente di un maresciallo dei carabinieri nella sua zona. Un’area sotto il controllo degli Anello di Filadelfia.

Filo rosso sangue

L’altro filo rosso sangue che unisce le due esecuzioni mafiose del 2002 è che gli imputati del clan Anello sono stati tutti assolti. L’ultima sentenza “per non aver commesso il fatto” è di venerdì scorso quando il Gup di Catanzaro ha completamente scagionato Tommaso Anello, fratello del boss Rocco, e i fratelli Giuseppe e Vincenzino Fruci. Tutti liberi.

L’investigatrice

Per dare una risposta agli omicidi rimasti impuniti nel 2006 Angela Donato, mamma di Santino Panzarella, ha vuotato il sacco. Alla Squadra mobile di Catanzaro ha raccontato ogni cosa in otto pagine di deposizione. Mamma Angela, che da 15 anni chiede giustizia per il figlio vittima di lupara bianca, la punizione che la ‘ndrangheta riserva solitamente agli “infami” che tradiscono, era arrivata a trasformarsi in investigatrice, pedinando suo figlio e scoprendo che lavorava per gli Anello. Raccontando pure di una relazione di Santino con Angela Bartucca compagna del boss che si trovava in galera.

Madre visionaria

Ma questa è leggenda. Finora la magistratura non ha creduto granchè alle storie raccontate da Angela Donato, che oggi ha superato i 70 anni e non ha mai voluto la scorta nonostante le sue rivelazioni scottanti. Nessuno crede alle parole raccontate da una madre disperata alla quale hanno ammazzato il figlio non ancora trentenne. Eppure lei dice di averlo seguito in quei giorni dell’omicidio di Ciriaco, che risale al primo marzo 2002. Ha detto alla polizia di averlo visto confabulare con i fratelli Fruci, e di aver saputo dallo stesso Santino di ritorno da un viaggio di lavoro dalla Sicilia da dove trasportava acqua minerale, che col camion si sarebbe fermato tra Gioia Tauro e Rosarno per caricare un’auto probabilmente rubata che sarebbe servita ai killer dell’avvocato.

L’auto rubata

Qualche giorno dopo il trasporto, era febbraio, la mamma che s’era improvvisata Miss Marple (l’attempata signora che investiga nei gialli di Agatha Christie) era andata in un capannone sulla strada tra Lamezia e Maida ed aveva visto un’utilitaria chiara, una Punto o una Tipo, targata Rc. Là davanti aveva visto spesso parcheggiata l’Alfa 146 bianca del figlio.

Ma Angela Donato potrebbe essere solo una visionaria davanti ai giudici, perchè di molte cose che racconta non è riuscita a fornire neanche uno straccio di prove: foto, video, documenti, registrazioni. Può darsi siano storie fondate, ma può anche darsi di no. Si tratta di condannare all’ergastolo delle persone per omicidio, e nelle aule giudiziarie si può credere ai testimoni ma con le dovute pezze d’appoggio. Che evidentemente mancano.

Il business

Ma qual era l’interesse degli Anello ad eliminare Torquato Ciriaco? Secondo Miss Marple in versione calabrese il clan di Filadelfia era interessato alla fornitura di calcestruzzo per i lavori d’allargamento dell’autostrada. Un business ghiotto al punto che uno dei costruttori, il lametino Salvatore Mazzei, aveva avuto la visita di Luni Mancuso che pretendeva il pizzo.

L’avvocato era interessato a rilevare la Edil Lorusso, un impianto di calcestruzzi nel Lametino, a cui puntava la famiglia di Filadelfia. Ecco perché Ciriaco era stato ribattezzato “cane” dalla cosca. Infatti la sera dell’omicidio Santino Panzarella tornato a casa disse a sua madre «finalmente se lo sono tolto di mezzo». E pochi giorni prima che il legale venisse ammazzato di notte sulla provinciale che da Lamezia porta a Maida, madre e figlio in macchina erano stati sorpassati dal fuoristrada Ford dell’avvocato e Santino aveva gridato: «Ormai circoli solo per qualche giorno… che quello che hai fatto agli Anello lo devi pagare!».

Miss Marple l’aveva rimproverato e lui a ricordare i tanti omicidi rimasti impuniti a Lamezia, dal poliziotto Salvatore Aversa al magistrato Francesco Ferlaino, al preside Giuseppe Lo Moro.

Lupara bianca

La differenza tra i due omicidi del 2002 è che dell’avvocato è stato trovato il cadavere crivellato sul sedile del suo fuoristrada. Del giovane Panzarella nulla. Nelle campagne di Curinga era stato trovato un frammento d’osso che dopo l’esame del Dna non è stato considerato umano. Gli imputati presunti affiliati del clan di Filadelfia assolti. E di nuovo liberi. Anche in questo caso niente prove.(v.l.)

Storia di una morte annunciata
Santino collabora e poi scompare

Mamma Angela gliel’aveva detto: «Quelli ti vogliono ammazzare, non ti fidare». Ma suo figlio Santino non l’ascoltava, si sentiva sicuro di sé. E come racconta la madre partecipa all’omicidio di Torquato Ciriaco seguendo le sue mosse.

Santino va tra Gioia Tauro e Rosarno a caricare sul camion l’auto rubata che sarebbe servita al commando per assassinare l’avvocato. Una Fiat chiara targata Rc depositata in un capannone non lontano dal luogo dell’agguato a Ciriaco.

L’avvocato la sera del primo marzo 2002 mentre dal suo studio di Lamezia tornava a casa a Maida, viene affiancato da quell’auto e i killer lo crivellano con tanti colpi calibro 9.

Passano quattro mesi e Santino sparisce. Volatilizzato. La madre non ha più sue tracce e si rivolge alla polizia, sapendo che suo figlio è stato ammazzato. Lupara bianca. E accusa presunti affiliati al clan Anello, arrestati e poi liberati dopo l’assoluzione. Angela Donato non ha mai voluto protezione.

 

 

 

 

 

Cose Nostre – Il codice di Angela
RaiPlay – 2018

Il racconto della realtà criminale calabrese, attraverso le storie di uomini e donne che non si sono mai piegati all’ndrangheta o che si sono ribellati alla violenza cieca delle cosche. La prima delle 4 puntate racconta la storia di Angela Donato, madre di Santo Panzarella, donna con un passato pieno di ombre che dopo la scomparsa del figlio nel 2002 inizia la sua battaglia per la verità. Santo era l’amante della moglie di un boss. Angela conosce le regole non scritte dell’ndrangheta e sa bene che “l’onore si lava con il sangue”. Ai presunti assassini del figlio chiede solo di riavere il corpo di suo figlio. Quando questo le viene negato, Angela farà di tutto per far luce sulle dinamiche dell’omicidio del figlio. Gli appelli disperati dal tono minaccioso di Angela arrivano agli investigatori della squadra mobile di Catanzaro, le cui indagini porteranno al ritrovamento di una clavicola e ad un processo. Ma la battaglia di Angela per ottenere giustizia non è ancora finita.

 

 

 

Leggere anche:

 

corrieredellacalabria.it
Articolo del 31 luglio 2020
Messaggera del capo: il ruolo chiave della moglie “tuttofare” del boss Rocco Anello
Dalle carte dell’inchiesta “Imponimento” condotta dalla Dda di Catanzaro emerge il ruolo decisivo della compagna del capo cosca.

 

 

 

 

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