2 Febbraio 2010 Napoli Ucciso Gianluca Cimminiello, 31 anni, tatuatore . Ucciso perché si vantava di un tatuaggio a Lavezzi.

Foto da: facebook.com

Il giorno 2 febbraio 2010 viene freddato nel suo studio “Zendark tattoo”, sulla Circumvallazione esterna, nel tratto di Casavatore, Gianluca Cimminiello di 31 anni, titolare di un centro di tatuaggi.
A distanza di un mese dalla sua morte si è compreso il movente dell’omicidio:
Gianluca è stato ammazzato per aver pubblicato sul suo profilo di Facebook un fotomontaggio che lo ritraeva con Lavezzi. Questa foto, secondo quanto accertato dai pm Stefania Castaldi e Gloria Sanseverino della Dda, indispettì Vincenzo Donniacuo, tatuatore di Melito, che chiese al clan di riferimento della zona di punire lo sgarro.
Dopo la pubblicazione della foto, Gianluca ebbe decine di e-mail da parte dei clienti e nell’ultimo messaggio inviatogli da Donniacuo, questi scrisse che Lavezzi lo doveva tatuare lui e nessun altro e poi chiuse con un «sabato passo nel tuo negozio». Quel sabato invece si presentarono tre persone. La discussione degenerò. In due aggredirono Gianluca che non solo evitò il pestaggio, ma fece scappare i suoi aggressori, tra i quali Noviello.
Tre giorni dopo, secondo l’accusa, Vincenzo Russo, si presenta davanti al negozio di Gianluca chiamandolo per nome. Cimminiello arriva sulla soglia del locale e viene colpito mortalmente prima alla spalla e poi al torace. Il killer spara ancora due volte. Per essere sicuro di aver ucciso.
Le manette sono scattate per Vincenzo Russo, 29 anni, pregiudicato di Melito ritenuto affiliato al clan degli scissionisti, arrestato dai carabinieri del nucleo operativo di Castello di Cisterna; nell’accusa di omicidio c’è l’aggravante di aver «agito con metodi mafiosi al fine di agevolare le attività dell’associazione camorristica facente capo a Cesare Pagano».
La famiglia di Gianluca, costituitasi parte civile nel processo, ha seguito ogni nuova evoluzione del caso. Fondamentale nel processo è la testimonianza di un testimone di giustizia, la fidanzata di Gianluca, presente al momento del barbaro omicidio.
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Fonte:   fondazionepolis.regione.campania.it

 

 

Fonte: altrimondi.gazzetta.it
Articolo del 27 aprile 2010
Ucciso perché si vantava di un tatuaggio a Lavezzi
Fulvio Bufi per il Corriere della Sera

L’incredibile morte di Gianluca «Zendark» Cimminiello è una storia in cui si mischiano la moda dei tatuaggi e la gelosia fra tatuatori, l’ingenuità  di una foto con il calciatore più amato dai napoletani e Facebook. Tutte cose che non c’entrano niente con un omicidio, eppure questa è la storia di un omicidio. Perché è comunque una storia che racconta di quella Napoli in cui la vita di una persona non vale niente, e quella di Gianluca, che aveva 31 anni, doveva essere stroncata perché lui si era rifiutato di farsi picchiare, aveva reagito e picchiato a sua volta. E allora non restava che ammazzarlo.
L’omicidio è del 2 febbraio scorso, e ieri i carabinieri hanno arrestato uno dei presunti autori, Vincenzo Russo, e ricostruito lo scenario che fa da sfondo all’intera vicenda. All’origine c’è una foto con Ezequiel Lavezzi che Gianluca Cimminiello si fa scattare una domenica di fine gennaio davanti all’ingresso degli spogliatoi del San Paolo. Il Pocho è infortunato, non ha giocato, e mentre aspetta i compagni accetta di posare con i tifosi. Quella foto Gianluca la mette su Facebook, ma solo dopo averla modificata, togliendo lo sfondo dello stadio e mettendoci quello del suo studio di tatuatore, lo «Zendark Tattoo», a Casavatore. Del resto Lavezzi lì ci sta benissimo, pieno com’è di tatuaggi è un ottimo testimonial. « Da quel momento Gianluca ha ricevuto svariati messaggi da parte dei clienti che chiedevano se avesse tatuato lui Lavezzi. Ma rispondeva sempre di no», ha raccontato la sua ragazza ai carabinieri durante le indagini.

Un giorno arriva anche il messaggio di un collega tatuatore, Vincenzo Donniacuo, chiamato nel suo giro «Enzo il Cubano», dal nome dello studio che gestisce a Melito. Donniacuo sembra geloso, teme che Gianluca abbia fatto amicizia con Lavezzi, che gli abbia fatto o possa fargli un tatuaggio, e diventare il tatuatore di un calciatore fa salire immediatamente le quotazioni tra gli appassionati. Il Cubano lo sa, tanto è vero che la prima foto che compare sul suo sito e sul suo profilo di Facebook lo ritrae con guanti, macchinetta e inchiostro all’opera su una gamba di Floro Flores, attaccante napoletano oggi all’Udinese.

Tra Enzo e Gianluca c’è uno scambio di messaggi non troppo amichevoli, finché il primo annuncia che passerà allo studio dell’altro «per parlare da vicino». Ma non ci andrà lui, ci manderà quattro amici di Secondigliano, di cui uno imparentato con un boss degli scissionisti, il clan vincente nella sanguinosa faida di qualche anno fa contro i Di Lauro. Il 30 gennaio i quattro si presentano allo Zendark, ma non per un chiarimento. Hanno deciso che Gianluca merita una paliata, però non hanno considerato che quel pezzo di ragazzo non è bravo solo a far tatuaggi, sa usare le mani anche in altro modo: conosce bene la difesa personale e non si impaurisce. Picchia uno dei quattro (proprio il parente del boss) e mette in fuga gli altri. Due giorni dopo si ripresentano, stavolta con le pistole. E lo ammazzano. Per punirlo di quella reazione, e in questo il Cubano non c’entra. Lui è indagato come mandante solo della fallita spedizione punitiva. Ma se non si fosse mai rivolto ai suoi amici di Secondigliano, Gianluca sarebbe ancora vivo.

 

 

Articolo del 10 Ottobre 2011 da fondazionepolis.regione.campania.it
Vittime innocenti, domani 11 ottobre udienza del processo relativo all’omicidio di Gianluca Cimminiello

Domani, martedì 11 ottobre 2011, alle ore 9:30, presso il Tribunale di Napoli (Terza Corte di Assise – Sezione Penale – Nuovo Palazzo di Giustizia – Centro Direzionale – Piazza Cenni – Lotto 3- Aule Udienze Penali – Aula 116), si terrà un’udienza del processo relativo all’omicidio di Gianluca Cimminiello.

Cimminiello era un tatuatore. Fu ucciso il 2 febbraio 2010 nel suo negozio a Casavatore da un affiliato alla camorra. In base alle risultanze delle indagini, sembra che il delitto fu commissionato da un tatuatore concorrente, accecato dall’ira per aver visto sul social network Facebook un fotomontaggio che ritraeva Gianluca in compagnia del noto calciatore del Napoli Lavezzi. Un “movente” inspiegabile e ingiustificabile. Oggi la sorella della vittima Susy Cimminiello e tutti i familiari di Gianluca invocano giustizia. Stiamogli vicini. Per non dimenticare.

 

 

Articolo del 28.01.2012 da liberainformazione.org
Ucciso dalla camorra per una foto su facebook
di Tiziana Apicella

In corso al tribunale di Napoli il processo per l’omicidio di Gianluca Cimminiello. La società civile vicina alla famiglia, chiede giustizia

Il 25 gennaio presso l’aula 116 del Tribunale di Napoli dinanzi ai giudici della Terza Sezione penale della Corte d’Assise di Napoli, il presidente Carlo Spagna, il Pubblico Ministero Gloria Sanseverino nella sua requisitoria finale, dopo aver illustrato la coerenza delle prove,  ha chiesto  ai giudici del Tribunale di Napoli di riconoscere la responsabilità penale dell’imputato Vincenzo Russo, chiedendo l’ergastolo e l’isolamento diurno per un anno e mezzo e la riconducibilità dell’omicidio all’art. 7 della legge 203/1991. Il delitto è dunque compiuto avvalendosi delle modalità previste dal 416 bis c.p. (associazione di stampo mafioso) ovvero agevolando l’associazione di tipo mafioso.

Gianluca Cimminiello è, secondo il pubblico Ministero e  per  gli avvocati di parte civile,  vittima innocente della criminalità organizzata. Ma chi è  Gianluca Cimminiello?

Gianluca è  un giovane di 31 anni di Secondigliano. Ha smesso di studiare per dedicarsi alla sua passione. Quella dei tatuaggi. Apre un laboratorio a Casavatore dove dedica il suo tempo ad una passione che intanto è diventato un lavoro. Gianluca vive in una zona non tranquilla dove è semplice intraprendere attività illegali o entrare in giri pericolosi, ma lui sceglie di seguire altre strade. Si è inserito da gran lavoratore e da cittadino rispettoso delle regole nella società civile. Vive a Secondigliano nel rispetto degli altri e facendo bene il suo mestiere. Gianluca  è bravo, molto bravo, e lo sa bene Anna la sua compagna che lo aiuta in laboratorio con i clienti. Ma certo per chi spara tutto questo è irrilevante. Una vita vale niente!  Così un azione banale e comune come quella di pubblicare una foto su facebook può determinare una condanna a morte.

Gianluca nel mese di gennaio del 2010 decide di pubblicare sul suo profilo una foto che lo vede insieme a giocatore Lavezzi. Questa foto pubblicata sul network scatena la gelosia di un altro tatuatore, un certo Vincenzo Donniaco detto “il cubano”. Alla foto seguono minacce da parte di Donniaco, che invita Gianluca a cancellare la foto dalla pagina, insulta il giovane in maniera forte nei commenti che solitamente si possono  lasciare sotto le foto pubblicate.

Gianluca così  decide di cancellare dai suoi amici di Facebook Donniaco, ma ai messaggi sulla bacheca seguono delle telefonate e un messaggio privato sul network dell’amicizia. Dopo poco tempo, tre persone –  che si dicono mandate da Donniaco –  visitano Gianluca al laboratorio per dargli una lezione. Ma Gianluca è un campione di arti marziali e non si fa pestare, anzi. C’è solo un problema però, tra i tre ragazzi inviati dal cubano c’è un certo Vincenzo Noviello che, prima di andare via, gli annuncia una sua parentela importante. Una parentela con il boss della zona.

Vincenzo Noviello è il cognato di Cesare Pagano, del clan “Amato – Pagano”  del quartiere di Melito, nella periferia a Nord di Napoli.

Da qui in poi ci sono una serie di incontri tra affiliati, capo-clan e capi-zona, per decidere che lezione dare al giovane tatuatore. Vincenzo Noviello, si reca in via Cicerone a Melito, base del clan Amato-Pagano,  gruppo scissionista nato da una costola dei Di Lauro. Lì in quell’appartamento si riuniscono sempre 15/16 persone del clan per decidere affari da realizzare e omicidi da compiere. Noviello chiede udienza e racconta dell’episodio. Chi prende decisioni è Cesare Pagano, latitante, che consultato sostiene che al ragazzo va data una lezione. Lui decide per la gambizzazione. Ad agire saranno Vincenzo Russo e Lello Aprea. I due però si recano a Milano per chiedere parere anche ad Abete Arcangelo, capozona con potere decisionale in detenzione domiciliare. Abete Arcangelo decide per l’omicidio di Gianluca Cimminiello.

È il 2 febbraio del 2010 e ad avvicinarsi al laboratorio di Gianluca, accolto da Anna, è Vincenzo Russo. Gianluca è di là con con un cliente e Vincenzo Russo è intrattenuto da Anna che gli mostra i disegni di possibili tatuaggi dal computer.

Una volta fuori dal laboratorio, Gianluca incontra quello che da lì a poco gli sparerà a distanza ravvicinata. Da 3 o 4 metri, come risulta dalle indagini balistiche. Vincenzo Russo gli chiede di vedere i tatuaggi delle carpe, che sono esposti all’ingresso, e Gianluca lo accompagna . Vincenzo Russo gli spara tre colpi. Un colpo colpisce Gianluca al braccio destro e attraversa la cavità toracica perforanado tutte e due i polmoni, il secondo lo colpisce alla gamba sinistra e l’ultimo infrange la vetrina.  Questa è  la ricostruzione della dinamica, dei personaggi e gli intrecci della vicenda.  E a riannodare tutto in fila è il pubblico ministero Gloria Sanseverino. Una storia ricostruita magistralmente perché fondamentale nel processo è stata la testimonianza della compagna di Gianluca. Anna racconta tutto, proprio tutto. Tutto ciò che precede  l’omicidio e la dinamica dell’omicidio stesso. Quando Anna è portata per il riconoscimento, presso il carcere di Poggioreale, è la voce di Vincenzo Russo che riconosce.  Vicenzo “o luongo” è nella stanza  a fianco.  Anna sente la sua voce. Questa voce la turba, quasi si sente male. È lui che ha ucciso Gianluca.

La versione, la ricostruzione di Anna è  confermata dai collaboratori di giustizia del clan “Amato-Pagano”, ascoltati durante il processo, che confermano che ad uccidere Gianluca è lui: Vincenzo Russo.  Anna vive oggi sotto protezione con la sua famiglia. Il suo amore per Gianluca, la sua voglia di giustizia le hanno permesso di affrontare tutto con grande determinazione. Lì in aula a seguire il processo passo dopo passo è la famiglia di Gianluca che si è costituita parte civile. Susy e Palma,  le sorelle del giovane tatuatore, sono sempre lì attente, seguono gli avvocati,  i testi e i i collaboratori con grande attenzione. Vogliono capire ogni cosa ed essere parti attive del processo. Accanto alla famiglia Cimminiello il Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti  della criminalità e la Fondazione Pol.i.s.

Gli avvocati della parte civile prendono la parola subito dopo il pubblico ministero e tengono a precisare  la completa estraneità del giovane tatuatore all’ambiente mafioso. Vissuto in una zona a rischio, lui ha seguito altre strade. Gli avvocati inoltre sottolineano la responsabilità dell’altro tatuatore, che ascoltato durante il processo, a parere degli avvocati si è contraddetto diverse volte e ha pronunciato diverse bugie. Ma non sarebbe il caso di considerare altresì la responsabilità di Vincenzo Noviello, cognato di Cesare Pagano, che per  vendicare un “onore”  ferito si rivolge al clan di camorra?

Il giorno 30 gennaio e il 6 febbraio 2012 ci sarà la discussione degli avvocati della difesa . Aspettiamo allora di sentire la difesa e ancora di più aspettiamo la decisione del giudice della Terza Sezione penale della Corte d’Assise di Napoli. Vicini alla famiglia Cimminiello e grati ad Anna che ha permesso di ricostruire tutta la vicenda, lontana oggi dalla sua città e dalla  famiglia del suo Gianluca.

 

 

Foto da liberainformazione.org 

Articolo del 8 Febbraio 2012 da  liberainformazione.org 
Delitto Cimminiello, emessa la sentenza
di Tiziana Apicella

Il tribunale di Napoli ha condannato l’imputato Vincenzo Russo all’ergastolo

Napoli.  Ergastolo e sei mesi di isolamento diurno. Questa la condanna stabilita ieri dal Giudice della II Corte di Assise di Appello del Tribunale di Napoli  nella   sentenza nei confronti di Vincenzo Russo, l’assassino di Gianluca Cimminiello, il giovane tatuatore ucciso per una foto pubblicata su Facebook.   Lì in aula, in un’atmosfera sospesa, durante la lettura della sentenza da parte del giudice, c’è la famiglia di Gianluca, la Fondazione Pol.is, i referenti regionali di Libera, l’associazione Giugliano contro le mafie e una rappresentanza del coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti di criminalità. Accanto alla madre di Gianluca ci sono altre due madri: Maria Rosaria Evangelista e Enza Pettirossi.

Maria Rosaria è la madre di Gigi Sequino, un ragazzo di 20 anni ucciso il 10 agosto del 2000 a Pianura  insieme al suo amico Paolo Castaldi di 21 anni, perchè entrambi scambiati per guardaspalle del clan della zona. Loro invece erano in macchina a immaginare e organizzare le vacanze estive. Volevano andare in Grecia. Sognavano il mare.   Enza Pettirossi è la madre del giovane Dario Scherillo, ucciso il 6 dicembre 2004 durante la faida di Scampia perchè scambiato per un appartenente al clan degli scissionisti. Lui era in sella alla sua Honda. Faceva un giro, tornava a casa. Era un ragazzo di 26 anni.   La signora Nunzia Rizzo è la mamma di Gianluca, ucciso il 2 febbraio 2010. Gianluca era un artista bello, veramente bello e bravo, perché faceva bene e con passione il suo lavoro.   La dignità  di queste tre donne lascia senza parole. Hanno vissuto in tempi diversi la stessa tragica perdita. Lo stesso straziante dolore. Tre madri che sono lì con grande forza, con grande dignità. Con amore. Sono lì per i “figli”, per l’ingiustizia subita, per un ideale di giustizia, per un mondo diverso.

Madri che hanno fatto una scelta. Hanno deciso di raccontare la propria storia, di essere testimoni dell’accaduto, di impegnarsi affinchè la memoria dei propri figli non precipiti nell’oblio Affinchè queste storie possano aiutare la comunità a non rivivere gli stessi lutti. Affinchè ci sia un cambiamento. Una scelta di vita orientata alla corresponsabilità, alla solidarietà, alla comunanza, alla compassione e alla ricerca di “verità e giustizia”.

Arriva la sentenza. Tutti in piedi ad ascoltare la decisione della Corte. Il processo è terminato. L’imputato è stato condannato. Finalmente la verità giudiziaria.   Eppure la sentenza lascia tutti sospesi. Sembra che qualcosa ancora manchi.    Una storia assurda. Gianluca è stato ammazzato da un giovane come lui. Un giovane che ha fatto altre scelte, un giovane che nel momento in cui ha sparato, ha deciso di togliere la vita a un altro essere umano condannandosi  ad una vita senza libertà. Una vita intera dietro le sbarre,  L’uomo che sta per sparare, per uccidere, per delinquere dovrebbe arrestarsi e ammetere a se stesso e a chi lo accompagna che questa non è vita. Non può esserlo. Questa è morte che si autoalimenta.

 

 

 

Foto da liberainformazione.org

Fonte: ladomenicasettimanale.it 
Articolo del 20 giugno 2012
Trucidato per una foto
di Eliana Iuorio

Ci sono storie che vanno raccontate. Come la storia di Gianluca “Zendark” Cimminiello, un ragazzo napoletano con tanti sogni e speranze, che aveva scelto la strada del lavoro; saggio, onesto. Interpretava i desideri di chi s’imbatteva, nel suo laboratorio, traducendo disegno in tatuaggio.

Ed è sera, nel suo negozio, quando Luca cade, sotto i colpi di una bestia, chiamata camorra, che la Procura di Napoli – terza sezione della Corte di Assise presieduta dal Giudice Carlo Spagna gli ha dato un nome, un cognome e una condanna: Vincenzo Russo, ergastolo.

“Zendark”, ucciso per invidia e vendetta. All’origine c’è una foto con Ezequiel Lavezzi che Gianluca si fa scattare una domenica di fine gennaio davanti all’ingresso degli spogliatoi dello stadio San Paolo. Il Pocho è infortunato, non ha giocato, e mentre aspetta i compagni accetta di posare con i tifosi. Quella foto finisce su Facebook, come mònito per chi pensa di farsi tatuare solo per emulare un calciatore. Per Gianluca, il tatuaggio è un’arte, che non è nelle mani di tutti: “L’ Artista è il tatuatore, non chi tatui, puoi tatuare anche un personaggio famoso, ma ciò che conta è il risultato sulla pelle! Non fatevi ingannare da queste sciocchezze, confrontate i lavori tra tatuatori e da li fate la vostra scelta” – queste, le sue parole in accompagnamento alla foto.

“Da quel momento Gianluca comincia a ricevere svariati messaggi da parte dei clienti che gli chiedevano se avesse tatuato lui Lavezzi. “Ma Luca rispondeva sempre di no”, racconta una testimone ai carabinieri durante le indagini. Perché nella abnorme, terrificante, assurda mentalità criminale, il giovane di Secondigliano si è macchiato di un grave delitto: aver pubblicato sul proprio spazio facebook, una foto così pregiata, con un riferimento preciso. Un gesto imperdonabile, uno sgarro assurdo per il tatuatore Vincenzo Donniacuo, chiamato nel suo giro “Enzo il Cubano”, dal nome dello studio che gestiva a Melito.

E’ ossessionato “Enzo il Cubano”. Comincia a rivolgere a Gianluca ripetuti commenti  talora di scherno, fino a diventare intimidatori, in altri casi. Gianluca cancella il cubano tra i suoi contatti facebook, ma quest’ultimo non si rassegna e passa all’”avvertimento fisico”. Dei giovinastri, armati di coltello, fanno irruzione nel laboratorio a Casavatore, per un “chiarimento”; Gianluca per niente intimorito trova il coraggio di bloccare l’azione criminale.

Da bravo istruttore di arti marziali, si difende attaccando e ferisce allo zigomo Vincenzo Noviello, un componente del commando ma soprattutto cognato del boss (all’epoca latitante) Cesare Pagano, capo degli scissionisti. Non si tratta di un avvertimento quindi ma evidentemente adesso di una sentenza di morte.

Tre colpi, di cui due a segno, chiudono gli occhi per sempre a Gianluca Cimminiello, un giovane artista di Secondigliano, vittima innocente di camorra a 31 anni. “La vita è breve e senza senso se non viene vissuta nell’assoluta pace con gli altri” – questo, ripeteva Gianluca, che prima di essere ammazzato aveva inserito in un post il suo testamento morale: “Perdona il prossimo, che chi non ha il perdono nel cuore vive male, ma ignora chi persevera nel male”.

A soli due anni dall’omicidio, il 2 febbraio scorso, il processo si è concluso in primo grado con la condanna all’ergastolo, per Vincenzo Russo, il killer. Già: i killer. Burattini nelle mani di abili “pupari”. Manovalanza delle mafie, abituati a chinare la testa e distruggere vite.

“E’ importante raccontare. Dietro ogni vittima innocente ci sono persone che svolgevano un’esistenza normalissima; se non fermiamo questi assassini, se ci giriamo dall’altra parte, potrebbe capitare a chiunque” spiega Susy Cimminiello, la sorella minore di Gianluca (componente attiva nel Coordinamento familiari vittime innocenti di criminalità della Campania), che con voce forte, intensa racconta la storia di suo fratello a chi non lo conosceva.

“Abbiamo il dovere di cambiare le cose, di smuovere le coscienze – ribadisce Susy – sono nata a Napoli e non me ne voglio andare da qui. Non dobbiamo chiuderci nel nostro dolore”. Questa è la città di chi denuncia e non si arrende; la città delle vittime innocenti e non di criminali senza scrupoli, che si atteggiano a padroni di niente.

 

 

 

 

Ucciso dalla camorra per una foto su Facebook, la storia di Gianluca “Zendark”

Fanpage.it – Pubblicato il 7 gen 2014
Gianluca “Zendark” Cimminiello era un ragazzo di 31 anni che lavorava come tatuatore a Casavatore, in provincia di Napoli, a due passi da Scampia. Fu ucciso per una foto pubblicata su Facebook, che lo ritraeva assieme ad un calciatore del Napoli. Un tatuatore concorrente si infuriò e mandò al suo negozio tre affiliati ad un clan di Secondigliano, per dargli una lezione. Ma Gianluca era campione di kickboxing e riuscì a difendersi, mettendo in fuga gli aggressori. Purtroppo, il clan decise che quella offesa doveva essere lavata con il sangue e pochi giorni dopo un sicario uccise Gianluca proprio davanti al suo negozio. Questa è la storia del vuoto che ha lasciato Zendark in chi gli voleva bene e di sua sorella Susy, che si batte per mantenerne viva la memoria.

 

 

 

Fonte:  ilmattino.it
Articolo del 29 giugno 2018
Tatuatore di Lavezzi ucciso, ergastolo ai due boss. E la sorella posta un video su Fb: «La camorra colpisce chi è solo»

La Corte di Assise del Tribunale di Napoli ha condannato all’ergastolo i boss del clan degli scissionisti Arcangelo Abete e Raffaele Aprea in relazione all’omicidio del tatuatore Gianluca Cimminiello, ucciso nel 2010 davanti l’uscio del suo negozio di Casavatore, dopo la pubblicazione su facebook di una foto con il calciatore Ezequiel Lavezzi che scatenò l’invidia di un concorrente il quale gli spedì un commando punitivo della camorra. Gianluca, abile boxeur, riuscì a respingere gli uomini del clan degli scissionisti che, per lavare l’onta, decisero di eliminarlo. Vincenzo Russo, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio di Gianluca Cimminiello, è stato condannato all’ergastolo il 20 dicembre del 2016. Oggi sono stati condannati anche coloro che sono ritenuti il mandante, Arcangelo Abete, e l’organizzatore, Raffaele Aprea. Entrambi sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio aggravato dalle finalità mafiose.

«La criminalità non si combatte ai tavoli, ai convegni, ma qui, nei Tribunali. Ma qui oggi siamo quattro gatti…la camorra uccide chi è solo». È lo sfogo, espresso con un video su Fb di Susy Cimminiello, la sorella di Gianluca Cimminiello, ucciso, nel 2010, a Casavatore, dopo la pubblicazione su facebook di una foto con il calciatore Ezequiel Lavezzi che scatenò l’invidia di un concorrente, cognato del boss Cesare Pagano, il quale gli spedì un commando punitivo della camorra, di cui faceva parte anche il nipote del boss.

Il video è stato postato dalla donna qualche ora prima della sentenza di condanna di due boss scissionisti coinvolti nell’omicidio del fratello. Gianluca, abile boxeur, riuscì a respingere gli uomini del clan e per questo venne condannato a morte. Per la Cassazione fu Vincenzo Russo, detto «o’ luongo», ad uccidere Gianluca, quella tragica sera, sull’uscio del suo negozio. Per questo è stato condannato all’ergastolo nel dicembre del 2016. Susy, davanti al palazzo di Giustizia di Napoli, mostra coraggio ma non nasconde il rammarico di essere stata lasciata quasi sola. «Avevo lanciato un appello, avevo detto che in passato eravamo stati costretti a uscire dal retro e non dall’ingresso principale (del palazzo di Giustizia, ndr)», dice su Fb Susy, perché «agli occhi dei familiari degli imputati siamo noi i nemici».

La sorella della vittima ha ringraziato tutti quelli che le sono stati e sono vicino, però, sottolinea, «mi aspettavo qualcosa in più, perché questa guerra la vinciamo se la facciamo insieme». «Uscendo dall’aula – ha detto ancora Susy – ho dovuto subire occhiatacce. Io quegli sguardi non li capisco, io sono abituata a guardare la gente negli occhi. Se sono contrariati da questa situazione (il processo, ndr) hanno avuto anni di tempo per andare a dire quelle che sapevano ai magistrati». «Io sono qui – ha detto ancora la sorella della vittima davanti al Palazzo di Giustizia di Napoli – il sangue mi ribolle…non mi interessa questa sentenza ma chi ha detto di voler essere vicino, come mi è sempre stato detto in questi anni. Sono io quella che rischio, alla fine, sono io quella che ha combattuto e quella che è vista come il loro nemico». «Siete ancora in tempo – ha concluso Susy – venite qua e metteteci la faccia, sono stanca di mettercela sempre solo io e pochi altri. La camorra uccide chi è solo».

 

 

 

Tatuatore ucciso nel napoletano, la sorella in tribunale: “La camorra uccide chi è solo”
La Repubblica – Pubblicato il 30 giugno 2018
La Corte di Assise del Tribunale di Napoli ha condannato all’ergastolo i boss del clan degli scissionisti Arcangelo Abete e Raffaele Aprea in relazione all’omicidio del tatuatore Gianluca Cimminiello, ucciso nel 2010 davanti l’uscio del suo negozio di Casavatore (Napoli), dopo la pubblicazione su Facebook di una foto con il calciatore Ezequiel Lavezzi che scatenò l’invidia di un concorrente il quale gli spedì un commando punitivo della camorra. Oggi sono stati condannati coloro che sono ritenuti il mandante, Arcangelo Abete, e l’organizzatore, Raffaele Aprea. Entrambi sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio aggravato dalle finalità mafiose. “La criminalità non si combatte ai tavoli, ai convegni, ma qui, nei Tribunali. Ma qui oggi siamo quattro gatti…la camorra uccide chi è solo”. É lo sfogo, espresso con un video su Fb di Susy Cimminiello, sorella del tatuatore ucciso, nel 2010. Il video è stato postato dalla donna qualche ora prima della sentenza di condanna di due boss scissionisti coinvolti nell’omicidio del fratello. Gianluca, abile boxeur, riuscì a respingere gli uomini del clan e per questo venne condannato a morte. . .

 

 

 

Fonte:  ilmattino.it
Articolo del 3 febbraio 2020
Napoli, ucciso per una foto con Lavezzi: un albero ricorda il tatuatore Cimminiello

La città di Napoli ha ricordato Gianluca Cimminiello, 31enne vittima innocente della camorra, nel decennale della sua uccisione. La manifestazione si è svolta nell’Istituto comprensivo ‘Sauro-Errico-Pascoli’ a Secondigliano; qui l’artista Maria Cammarota ha realizzato un’opera ricavata da un tronco d’albero morto che è così tornato a nuova vita. Alla manifestazione, tra gli altri, hanno partecipato il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, il sindaco, Luigi de Magistris, e la sorella di Gianluca, Susy Cimminiello.

«Questo albero – ha detto Susy – è stato troncato perché era diventato ingombrante, dava fastidio così come forse Gianluca che è stato ucciso perché ha dato fastidio a qualcuno ma nonostante la morte restano e quelle radici siamo noi la sua famiglia, i suoi amici. Una morte non porta mai del bello ma ciò che noi possiamo e dobbiamo è provare a ricostruire percorsi diversi attorno a quelle radici per raccontare ai giovani cosa è successo».

Due anni fa la stessa scuola ha intitolato la palestra alla memoria di Gianluca. «Essere qui oggi è importante perché non si deve dimenticare la morte innocente di un ragazzo della nostra terra pieno di vita, di passioni che voleva una vita normale – ha detto de Magistris – ma siamo qui per stare vicino a Susy che in questi anni si è tanto impegnata per la giustizia e la verità sui fatti che hanno portato tragicamente al barbaro omicidio di Gianluca. Una verità cercata in modo ostinato con il sostegno di tanti. Napoli – ha proseguito – è una città che si è schierata contro la camorra. Questa amministrazione e questa città hanno scelto la non violenza e l’impegno contro la camorra e per il riscatto dei territori con tante associazioni e cittadini che ogni giorno si impegnano per liberare le nostre terre dal crimine e dalla sua forma più insidiosa che è il crimine organizzato».

Gianluca fu ucciso il 2 febbraio 2010 da un commando di camorra solo per essere riuscito a scattare una foto con il suo idolo, il calciatore Ezequiel Lavezzi, allora attaccante del Napoli. Una foto che suscitò l’invidia di molti fino a diventare la sua condanna a morte. Per l’omicidio di Cimminiello, la Corte di Assise del Tribunale di Napoli ha condannato nel 2018 all’ergastolo due uomini legati al clan degli scissionisti. «Le idee di Gianluca – ha concluso il dirigente scolastico, Piero De Luca – continueranno a camminare sulle gambe di tutti».

 

 

 

Fonte:  napoli.fanpage.it
Articolo del 25 giugo 2020
Omicidio Gianluca Cimminiello, confermato l’ergastolo a mandante e organizzatore del delitto
di Valerio Papadia
La Corte d’Assise di Napoli ha confermato l’ergastolo per Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, rispettivamente mandante ed organizzatore dell’omicidio di Gianluca Cimminiello, 32 anni, il tatuatore ucciso dalla camorra il 2 febbraio del 2010. Cimminiello fu trucidato per aver reagito ad un pestaggio dopo una foto che il 32enne aveva pubblicato sui social.

La Corte d’Assise di Napoli ha confermato l’ergastolo per gli assassini di Gianluca Cimminiello, conosciuto come Zendark, il tatuatore di 32 anni vittima innocente di camorra, ucciso il 2 febbraio del 2010. Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, rispettivamente mandante ed organizzatore del delitto, sono stati dunque condannati al carcere a vita, come già disposto nell’estate del 2018. Il tatuatore partenopeo venne barbaramente trucidato per una ritorsione: Cimminiello, infatti, reagì ad un pestaggio voluto dal clan Amato-Pagano, scattato dopo che il tatuatore aveva pubblicato sui social una fotografia nella quale sembrava che tatuasse l’allora calciatore del Napoli Ezequiel Lavezzi: ma si trattava di un fotomontaggio. Un concorrente del 32enne, mosso da gelosia, si rivolse al clan affinché Gianluca ricevesse una lezione. Cimminiello, però, neutralizzò le persone che si erano recate nel suo salone di tatuaggi per pestarlo. Qualche giorno più tardi, un uomo armato si presentò nel negozio del 32enne a Casavatore, provincia di Napoli a ridosso della periferia settentrionale della città, sparando e uccidendo Gianluca. Per il delitto, ritenuto l’esecutore materiale, venne arrestato Vincenzo Russo, che nel dicembre del 2016 è già stato condannato anche lui all’ergastolo.

La sentenza è stata commentata dal senatore Sandro Ruotolo, che su Facebook ha scritto: “Alla fine la sentenza ha fatto giustizia. Anche in appello condannati all’ergastolo mandante e coautore dell’omicidio di Gianluca Cimminiello, vittima innocente di camorra. Dopo 10 anni e mezzo dai fatti. In aula c’erano solo le sorelle di Gianluca, Susy e Palma, il sottoscritto con la scorta. Susy e Palma sono scoppiate in lacrime. Chi non ha un familiare, un amico, un conoscente tra le vittime innocenti delle mafie, non può capire. Sono ferite che non si rimarginano ma almeno, anche se dopo dieci anni, giustizia per Gianluca è stata fatta. La Camorra è una montagna di merda”.

 

 

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Articolo del 15 Ottobre 2021
Omicidio Gianluca Cimminiello, la Cassazione conferma l’ergastolo per mandante e organizzatore
di Giuseppe Cozzolino
La Corte Suprema di Cassazione ha confermato l’ergastolo per Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, rispettivamente mandante ed organizzatore dell’omicidio di Gianluca Cimminiello, 32 anni. Per la sua morte era stato condannato in terzo grado anche Vincenzo Russo, l’esecutore materiale dell’omicidio.
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Gianluca Cimminiello
Gianluca si oppose a un ricatto, all’arroganza di alcuni uomini esponenti di un clan camorristico che voleva crescere. Non si poteva far passare in silenzio l’affronto che avevano subito. E questo giovane ragazzo dai candidi occhi celesti doveva rimettersi in riga ed essere da monito per tutti coloro che osavano opporsi alla violenza e al potere della camorra. Ma per chi scegli la camorra, non ci sarà mai un lieto fine.

 

 

 

 

 

 

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