I Testimoni di Giustizia. Storia di chi ha testimoniato contro le mafie

GIUSEPPE CARINI

Articolo del 25 Febbraio 2008 da archivio.siciliainformazioni.com

La vita negata del testimone di giustizia. Intervista a Giuseppe Carini. Grazie a lui puniti gli assassini di Don Pino Puglisi.

Il 15 Settembre del 1993 nel quartiere Brancaccio di Palermo cadeva sotto il fuoco della mafia, Padre Pino Puglisi. Era il giorno del suo 56° compleanno. Durante le prime indagini, gli inquirenti erano disorientati. Si pensava che il sacerdote potesse essere un informatore della polizia o che si trattasse addirittura di un tentativo di furto. Nessuno pensava che la criminalità siciliana potesse arrivare a tanto.

La verità veniva fuori solo grazie alla testimonianza di Giuseppe Carini. Un ragazzo di soli 25 anni che nel suo quartiere natale, feudo di Michele Greco, frequentava la parrocchia di San Gaetano, dove il prete assassinato insegnava il significato della legalità ad un gruppo di ragazzi, per allontanarli dalla strada.

Padre Puglisi veniva ucciso perché le sue coraggiose parole disturbavano le attività di Cosa Nostra. Dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, mandanti del brutale omicidio. Entrambi condannati all’ergastolo. Carini raccontava tutto ai magistrati, Luigi Patronaggio e Lorenzo Matassa: le minacce subite sulla propria pelle, le botte e gli incendi intimidatori nelle case degli amici dell’Associazione Intercondominiale, del quartiere palermitano. Una scelta coraggiosa, a sacrificio della propria vita, in nome della giustizia e dello Stato. La stesso che oggi sembra averlo abbandonato.

Al tempo dell’omicidio aveva solo 25 anni, perché ha deciso di testimoniare?
“Innanzitutto la voglia di riscatto del mio quartiere e della mia persona. Con padre Puglisi abbiamo conosciuto il rispetto della dignità, della propria vita e di quella degli altri. Non ci arrendevamo a vivere in un quartiere dove ogni cosa era vista solo come la ‘concessione di un favore’ e non come un ‘diritto’ sociale. La mia scelta di collaborare è stata una scelta di diritto. Il diritto che i mandanti e gli assassini fossero condannati”.

Dopo la testimonianza, le offrirono di entrare in un programma di protezione speciale. Di cosa si trattava?
“Consisteva nel trasferimento in una località protetta. Un programma di protezione mirato solo a nascondere una persona, senza alcuni progetto concreto che prevedesse il ritorno ad una vita normale. Una morte civile e sociale. Ho vissuto per quattro anni in piccoli paesini della Toscana e del Piemonte. Ti mettevano dentro un appartamento e buona notte. Il sussidio mensile non era sempre sufficiente. Insomma, tutto sembrava un semplice occultamento di testimoni. E una volta fuori, arrivederci e grazie”.

Cosa vuol dire: arrivederci e grazie?
“Vuol dire che fanno una capitalizzazione, di danno dei soldi per mantenerti i primi tempi. Ma non capiscono che il vero problema non è il denaro. Il problema è che sei tagliato fuori. Senza un lavoro che umanizza e aiuta a creare legami stabili o che ti permetta di comprati una casa. A Palermo studiavo medicina e chirurgia. Non sono mai riuscito a riprendere gli studi. Non ero nelle condizioni di poterlo fare”.

Mi aiuti a capire meglio, lo Stato non le ha trovato un lavoro e neanche dato la possibilità di formarsi, cosa è successo quindi alla fine del programma di protezione?
“Per trovare lavoro mi sono rivolto ad una agenzia di cerca lavoro temporaneo. Lo stato se ne è ‘strafregato’. Oggi vivo nel nord Italia. Ho un’altra identità e lavoro per una cooperativa sociale”.

Oggi lei ha 38 anni, un lavoro, è inserito socialmente ma dice di sentirsi ‘civilmente morto’. Cosa vuole dire?
“Sono stato tenuto chiuso dentro qualcosa più grande di me che in qualche modo mi ha mortificato. Come testimoni pensiamo di potere dire alla gente tante cose. Di spiegare il valore del coraggio di parlare e di denunciare. Vorremo avere sicurezza nelle istituzioni. Ma non riusciamo”.

E’ mai ritornato dopo la testimonianza a Palermo? Ha avuto modo di rivedere i suoi genitori?
“No, non sono più tornato a Palermo. Non torno perché non ci sono le condizioni di sicurezza per il mio rientro. Una volta partito da Palermo i rapporti con i miei familiari sono finiti. Loro non hanno condiviso la mia scelta e hanno rinnegato il nostro legame di parentela. Forse hanno paura di ritorsioni. Ho anche dei fratelli che non sento più. Mi sono serviti tredici anni per accettare la realtà dei fatti”.

I testimoni di giustizia non sono pentiti di mafia. Boss che preferiscono collaborare per salvare la loro vita. I testimoni sono persone che hanno scelto la difficile e rischiosa via della legalità. In Italia sono circa 70. Vivono tutti in condizioni di isolamento ed emarginazione e denunciano di essere stati abbandonati dallo Stato.
Dal 1991 ad oggi non è stata fatta una legge che prevede il loro reinserimento lavorativo. E intanto, l’ultimo pacchetto sicurezza, pensato dal Governo Prodi, prevedrebbe un’assunzione dei testimoni nella Pubblica Amministrazioni. Ma come tante altre iniziative, è rimasta bloccata.
“Possono ancora fare un decreto di urgenza. Per me e per tutti gli altri. Vorrei anche che il Sottosegretario Minniti si decidesse a chiudere la situazione dei testimoni dell’antimafia con un decreto d’urgenza. Ci hanno chiamato in commissione antimafia e fatto tante promesse. Ma restano solo promesse”.

Carini, oggi rifarebbe la stessa cosa? Testimonierebbe ancora?
“Penso di si. Sarei solo più cauto e starei più attento ai miei diritti”.

Articolo del 31 Ottobre 2012 da  antimafiaduemila.com

Il grido dei testimoni di giustizia e familiari di vittime di mafia all’Europa

di Lorenzo Baldo e Anna Petrozzi – 31 ottobre 2012

Palermo. “Perché il silenzio sui testimoni di giustizia?”. La domanda resta sospesa nell’aula magna del palazzo di giustizia del capoluogo siciliano. Nel 1993 Giuseppe Carini era uno studente universitario di Brancaccio, frequentava l’Istituto di medicina legale di Palermo ed era uno stretto collaboratore di Padre Pino Puglisi. Padre Puglisi sapendo che assisteva alle autopsie gli aveva chiesto “un favore”: “Giuseppe, quando toccherà a me, cerca di starmi vicino”.

Giuseppe si era ritrovato poi a testimoniare in merito all’omicidio di don Pino e da quel momento era dovuto scappare da Palermo dopo aver raccontato quanto aveva visto. A distanza di tanti anni la sua emozione, il suo dolore e la sua rabbia bruciano ancora, più volte i suoi occhi si arrossano, a volte le lacrime vengono ricacciate indietro, altre volte no. “C’è da chiedersi se c’è una reale volontà politica di migliorare questo Paese – chiede Carini osservando attentamente i delegati della Crim che lo ascoltano attraverso le voci dei traduttori che arrivano in cuffia –, di liberarlo dal giogo di una civiltà contraria, di una civiltà della morte… C’è da chiedersi perché, se una vita senza né arte né parte è una vita da buttare via, la vita di chi testimonia contro le mafie finisce per fare la stessa brutta fine”. “Testimoniare contro le mafie – sottolinea amaramente – è un salto nel buio, è come precipitare dentro un pozzo senza fine dove paradossalmente la via di uscita mette in discussione e in crisi le stesse ragioni che hanno portato alla testimonianza”. Gli eurodeputati sono particolarmente colpiti dalla vibrazione delle sue parole quando spiega di “effetti devastanti” frutto di “scelte politiche fallimentari”. Giuseppe Carini illustra “le resistenze” da parte della classe politica alle modifiche della legge 45 del 2001 in materia di testimoni di giustizia. “Come disse Henry Louis Mencken: ‘L’ingiustizia è relativamente facile da sopportare. È più difficile sopportare la giustizia’, afferma con convinzione denunciando un gravissimo “calo di attenzione” nei confronti del loro status. Il testimone di giustizia parla di dispositivi di sicurezza “troppo spesso lasciati ad un’arbitrarietà discrezionale pericolosissima” denunciando episodi di “violazione del segreto di ufficio” con riferimento al cambio di generalità che spetta ai testimoni.
Citando ampiamente il documento sui testimoni di giustizia del 2008 Carini riapre una ferita mai sanata. Il 22 maggio 2008 l’On Angela Napoli aveva presentato all’allora ministro dell’Interno un’interrogazione parlamentare sui testimoni di giustizia. Il Primo Comitato della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare nella XV^ legislatura aveva svolto un’attività d’inchiesta sui testimoni di giustizia e si era fatto promotore di una relazione, approvata all’unanimità, con la quale, dopo aver elencato le problematiche e gli aspetti critici che erano stati rappresentati dai vari testimoni di giustizia, aveva proposto al Parlamento una riforma del sistema. Nell’interrogazione parlamentare veniva messo nero su bianco che “tra i principali punti di criticità evidenziati” erano apparsi “prioritari”, proprio “quelli oggetto delle varie proteste di quegli ultimi mesi”, ossia “le difficoltà riscontrate nel reinserimento nel contesto socio-lavorativo, l’inadeguatezza delle misure di protezione, le difficoltà nell’accesso alle agevolazioni bancarie, l’impossibilità di fare stabile affidamento sull’ausilio di professionisti, di tecnici, ovvero di veri e propri consulenti e, quindi, le condizioni di isolamento nelle quali vengono a ritrovarsi pressoché tutti i testimoni di giustizia ed i loro familiari”. L’amarezza di Carini sta tutta nel constatare come la situazione dal 2008 ad oggi sia solo peggiorata in quanto l’istituto dei testimoni di giustizia è a tutti gli effetti “una risorsa nella quale l’attuale governo non intende investire in termini di uomini, mezzi e risorse creando di fatto tutte quelle situazioni politico-sociali che sono alla base di problemi enormi quali quello dell’omertà, la disincentivazione delle collaborazioni volontarie, la mortificazione della vocazione testimoniale dell’associazionismo antimafia”. “I testimoni sono i primi a sperimentare sulla propria pelle quelle gravi cadute di efficienza del sistema dovute a inettitudine, trascuratezza e irresponsabilità. Dopo un momento di assistenza iniziale, il teste viene ‘abbandonato’ in balia di se stesso e delle sue esigenze familiari, lavorative e sociali che non solo non vengono prese in esame e soddisfatte, ma incontrano ostacoli – per lo più di natura burocratica – frapposti proprio da chi è, per legge, preposto a superarli e a risolverli”, le parole tratte dalla documentazione della Commissione antimafia rilette lentamente da Carini rimbombano pesanti nell’aula. “Noi chiediamo al ministro degli Interni – continua – di conoscere le ragioni dei suoi silenzi rispetto alle problematiche dei testimoni di giustizia. Vorremmo sapere dal signor ministro degli Interni per quale motivo il documento che abbiamo presentato quasi da 10 mesi rimane sul suo tavolo senza alcuna risposta. Chiediamo al governo italiano di attuare tutte quelle proposte che erano partite da un’inchiesta della commissione parlamentare antimafia del 2008”. Giuseppe Carini anticipa di seguito il documento consegnato alla Crim intitolato ‘Dalle buone pratiche alle scelte coraggiose’. Uno dei punti rilevati nel documento consegnato alla Commissione antimafia europea riguarda “la protezione e inserimento lavorativo dei testimoni anche oltre i confini nazionali” che preveda “una direttiva che sia giuridicamente vincolante”. “L’Europa più volte è intervenuta in merito alla protezione dei testimoni – evidenzia Carini –, dal 1995 sono state formulate dall’Europa numerose risoluzioni, raccomandazioni, dossier. L’ultimo è datato 2007 e fa parte della Commissione delle Comunità Europee, nelle parti finali di quel documento viene riportato che l’Europa ha deciso di non intervenire sulla legislazione dei testimoni semplicemente perché i tempi non erano maturi, o perché gli stati erano riluttanti e avevano deciso di rinviare l’intervento dell’Unione Europea in materia di testimoni”. “Noi testimoni di giustizia – conclude – ci siamo presentati nelle aule di tribunale a prescindere dal fatto che i tempi fossero più o meno maturi, senza riluttanza e senza rinvii. Noi chiediamo quindi scelte di lealtà, i testimoni dimostrano lealtà civile nei confronti delle istituzioni italiane ed europee, non vorremmo pensare che si vada dalla lealtà civile alla lealtà della classe politica”. Un momento di silenzio e poi un lungo applauso da parte dei delegati del Crim visibilmente impattati da simili testimonianze.

 

Video Youtube

Pubblicato in data 22/mar/2013

parla a volto scoperto il testimone di giustizia giuseppe carini news agtv

 

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