I Testimoni di Giustizia. Storia di chi ha testimoniato contro le mafie

GENNARO CILIBERTO

Articolo del 13 Agosto 2013 da  restoalsud.it

“Io, testimone di giustizia, sono carne da macello…”

di Paolo De Chiara

“Un atto vile. La macchina che hanno danneggiato non è nemmeno la mia, mi è stata prestata. Loro non vinceranno, ma la mia situazione è drammatica. Mi sento solo ma non mi fermo”. Dopo il ‘vile’ attentato il testimone di giustizia Gennaro Ciliberto ha deciso di parlare e di raccontare la sua drammatica storia. Ha denunciato infiltrazioni camorristiche, corruzioni negli appalti pubblici, la presenza e il coinvolgimento della famiglia Vuolo di Castellamare di Stabia.

“Nel 2011 mi sono rivolto alla Dia di Milano per denunciare tutto. La mia vita da quel momento è stata stravolta. Ho parlato della consegna di orologi Rolex e di decine di migliaia di euro a chi doveva vigilare sui lavori. Corruzioni di vario tipo che hanno portato al collasso di alcune strutture metalliche costruite sulle autostrade italiane. Sono stato abbandonato anche da mia moglie, mia figlia pensa che sono scappato di casa”. Da Bitonto (“una terra di nessuno, dove accade di tutto”) continua il suo impegno per la legalità. “E’ inutile scappare. Sono impegnato nell’antimafia di strada, salvando qualche ragazzo dalla criminalità, combattendo le piazze di spaccio”.

Gennaro Ciliberto, ex carabiniere, è il coordinatore della Regione Puglia dell’Associazione ‘I cittadini contro le mafie e la corruzione’, presieduta da Antonio Turri. “Il giorno 9 agosto – ha spiegato Turri – eravamo in Puglia per incontrare gli imprenditori della provincia di Bari vittime delle mafie locali e proprio con Gennaro Ciliberto abbiamo dato vita ad un coordinamento tra alcuni di questi nella città di Bitonto. Questa riteniamo sia la risposta dei clan che tentano di intimorirci. Ma sappiano i boss ed i loro sgherri che non faremo un passo indietro. Il nostro rappresentante ha ricevuto fin dalle prime ore il sostegno convinto delle forze di polizia e del sindaco Michele Abbaticchio”. Parole rafforzate da Gennaro: “Non mi fermeranno. Dopo la manifestazione con i cittadini di Bitonto ho trovato tutte e quattro le ruote della macchina sventrate. Segnali già c’erano stati in precedenza. Hanno già tentato di rubarmi la macchina, sono stati arrestati. C’è una netta contrapposizione tra Stato e antistato, con una criminalità molto pericolosa”.

Ti aspettavi questa reazione?

Mi ha turbato molto. Non mi aspettavo questa reazione. C’è molta omertà, lo hanno fatto di domenica, ma nessuno ha visto niente. Bitonto è terra di nessuno, abbandonata da tutti. Ne ho viste di situazioni particolari, ma qui è fuori dal normale. Continue sparatorie, droga, motociclette che viaggiano senza targa.

Dopo le denunce fatte contro il clan camorristico D’Alessandro perché hai scelto Bitonto?

Sono carne da macello, sono un uomo morto. Se posso fare del bene cercherò sempre di farlo. Non voglio che la criminalità cresca, io ho dichiarato guerra alla criminalità. La gente mi ferma e mi racconta che ha paura, che non si sente tutelata.

Perchè ‘carne da macello’?

La mia sentenza è stata scritta. Ora iniziano i processi, sono l’unico testimone oculare che ha fatto registrazioni. La settimana prossima sarò nuovamente a Roma alla DDA (Direzione Distrettuale Antimafia, ndr). Senza la mia testimonianza cadrebbe tutto. Su cento operai nessuno ha dichiarato le cose che ho potuto dichiarare io, tutto provato. E’ anche vero che molte forze di polizia mi hanno detto ‘ti sei andato a mettere in bocca al lupo’. Ma cosa potevo fare? Quando sono arrivato a Bitonto la gente mi ha detto ‘buona fortuna, che Dio te la mandi buona’.

Perché diventi testimone di giustizia?

Divento testimone, nel momento in cui, da dirigente, vengo a sapere che molte strutture in ambito autostradale sono pericolanti. Il mio dovere civico mi porta a confidarmi con un ufficiale dei carabinieri che trova un contatto con la Dia (Direzione Investigativa Antimafia, ndr). Comincio a portare tutto il materiale in mio possesso, in qualità di dirigente avevo accesso a tutto, comprese le registrazioni. L’ultima ferita che si apre in me è l’incidente del pullman in autostrada con 39 vittime. Sono stato male, sono anni che dico che i lavori fatti dalla famiglia Vuolo di Castellamare, clan D’Alessandro non sono sicuri. Sono anni che dico ai magistrati che bisogna controllare. Si fanno i lavori con delle compiacenze e non si fanno i collaudi. Un lavoro fatto male e preso in tempo può essere riparato. Questo è un orribile modus operandi.

Dopo le denunce che succede?

Non succede niente. Questi continuano a costruire, io continuo a denunciare. Fino a quando non avvengono i crolli e le Procure mi cercano. Loro cambiano ditte e continuano a costruire. Hanno una potenza impressionante, non è quella camorra di strada che spara. E’ una potente mafia che è entrata nel tessuto imprenditoriale, fatta di connivenze con alti ufficiali, politici, dirigenti.

Soffermiamoci sul clan D’Alessandro di Castellamare di Stabia…

Il figlio del titolare dell’azienda dove lavoravo (Pasquale Vuolo, detto ‘Capastorta’, ndr) è un condannato in Cassazione, oggi scarcerato, per associazione mafiosa con l’aggravante dell’articolo 7. E’ lui che mi ha condannato a morte, dicendo che in quella finta rapina dove sono stato sparato dovevo morire. E’ sempre lui che mi dice, tutto è stato denunciato, che prima o poi mi ucciderà, perché è abituato a sparare le ‘guardie’ in testa. Lui me lo ha detto verbalmente, aggiungendo che in tutta Italia ha contatti con altre organizzazioni criminali. La stessa Procura di Monza scrive che ci sono state delle difficoltà per le indagini per l’omertà e la poca collaborazione di enti istituzionali. Perché questa gente ha paura?

Perché?

Perché lo spessore criminale di Pasquale ‘Capastorta’, oggi sorvegliato speciale, è lampante. Nessuno ha mai denunciato. Quando ho detto alla Dia di Firenze di fare attenzione per il rischio di crollo delle strutture mi hanno riso in faccia. Sono cadute veramente. Mi sono dovuto impuntare per far mettere a verbale i legami e l’amicizia dei Vuolo con un generale dei carabinieri.

Ancora in servizio?

In pensione dall’anno scorso, ma di una potenza impressionante. I Vuolo, anche se questo generale non entra negli appalti pubblici, se ne vantavano di questa amicizia, lo chiamavano ‘Giovannino’.

Hai scritto al Capo dello Stato, al Ministro degli Interni, della Giustizia…

Ho scritto a tutti. Addirittura sono stato denigrato e chiamato ‘rompicoglioni’ dopo che un Procuratore mi aveva detto di mandare le comunicazioni. Ho continuato a monitorare le gare d’appalto, ho continuato a scrivere, a denunciare alle autorità competenti. Ho fatto notare le gravi anomalie intorno alle certificazioni antimafia, ho denunciato facendo nomi e cognomi. Mi hanno detto che non devo ‘rompere i coglioni’. Per me questa è la sconfitta della legalità. E’ il sistema che non funziona. Il certificato antimafia, se ci sono delle compiacenze, non viene verificato. Mi sento abbandonato dalle Istituzioni e, nonostante tutto, io sono a Bitonto, in una terra di criminalità a fare cultura della legalità. Ho perso una famiglia e una figlia per fare queste scelte. Mia moglie a un certo punto mi ha detto ‘cosa ci mancava, avevamo tutto. Oggi sembri un latitante che scappa per tutta l’Italia’. Mia figlia pensa che sono scappato di casa. Come devo vivere, di cosa devo vivere? Non ho nessuna tutela e le Procure mi continuano a chiamare. Ho lasciato delle memorie storiche, se un giorno mi uccideranno tutti dovranno sapere che la colpa è di uno Stato che ha abbandonato i testimoni di giustizia.

Video Youtube

Il grido di dolore di Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia.

Gennaro Ciliberto. coraggioso come un brigante- partigiano, ha creduto in questo stato liberal massonico.Conduce una vita da recluso e da isolato. Testimone di giustizia aspetta che questo Stato risolva casi disperati di alcuni di loro. In Italia non arrivano a 90, gente coraggiosa, che ha parlato degli intrecci mafiosi che percuotono la vita imprenditoriale e politica in tutte le sue asserzioni. Ascoltiamo il grido di dolore di Gennaro lasciato dalla moglie che si è dissociata, vive scappando in tutta Italia, cambiando residenze di fortuna, grazie al senso civico di persone che lo ospitano.E’ stato abbandonato dalle istituzioni.

Articolo del 7 Novembre 2013 da huffingtonpost.it

Gennaro, testimone di giustizia in sciopero della fame

di Giovanni Tizian

Con le sue dichiarazioni ha permesso a cinque procure di aprire altrettanti procedimenti. Gennaro Ciliberto viaggia a sue spese su e giù per l’Italia per raccontare agli investigatori che lo convocano i particolari di una storia tutta italiana: aziende in odore di camorra che nonostante indagini, stop delle Prefetture, opere fatte male e finite sotto sequestro, continuano a lavorare negli appalti pubblici.

Si sente in pericolo. Braccato. Confessa anche questo Gennaro, che prima di denunciare i suoi ex datori di lavoro in quelle aziende era il capo della sicurezza. E proprio ricoprendo quel ruolo ha capito che le strutture realizzate non erano fatte a regola d’arte. Si è rivolto alla Dia, alle procure antimafia, che lo hanno preso sul serio. Ma resta un testimone senza protezione.

Per questo dopo due anni di collaborazione e di denunce tutte documentate è esausto. Svuotato dall’indifferenza delle istituzioni. Dorme in auto. Perché ha paura di tornare nel paese d’origine. Lì vivono i figli, il più piccolo ha pochi mesi, e la moglie. Non vuole metterli in pericolo. Chiede attenzione, protezione e un luogo sicuro dove vivere.

Per questo da ieri sta protestando sotto il Viminale. Una protesta silenziosa: ha iniziato lo sciopero della fame. Ha chiesto un incontro con il ministro. «Ho dato tutto me stesso per la giustizia», si sfoga, «chiedo protezione e maggiori tutele, tutto ciò che ho dichiarato ha dato impulso a numerose inchieste».

E le istituzioni per lui cosa stanno facendo? Dopo un giorno di silenzio hanno battuto un colpo. Stamattina è stato ricevuto nella segreteria del viceministro Filippo Bubbico. Da lì è partita la telefonata diretta alla Procura di Roma, uno degli uffici che sta indagando e interrogando da tempo il testimone Ciliberto, ritenuto attendibile dagli stessi pm. “Gli hanno chiesto di decidere sulla mia situazione entro oggi, che da parte loro c’è la disponibilità immediata a disporre il programma di protezione ma hanno bisogno di una relazione del pm incaricato dell’indagine”, racconta Ciliberto.

Concluso l’incontro, la marcia silenziosa di Gennaro si è spostata a piazzale Clodio. Davanti agli uffici della procura. “Continuerò il digiuno e la protesta qui, sempre con la stessa educazione ed eleganza”.

Nelle condizioni di Gennaro Ciliberto si trovano tanti altri testimoni di giustizia. E forse è arrivato il momento che la nuova commissione antimafia cominci ad occuparsene.

Prima che sia troppo tardi. Prima che diventino la maggioranza i testimoni delusi. Quelli che ripetono, con un sorriso amaro, “se tornassi indietro non denuncerei”.

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